I sondaggi alla Biscardi

I sondaggi alla Biscardi
Ivan Zazzaroni
4 min

Ieri, leggendo i quotidiani molto prima dell’inevitabile navigazione in rete, ho pensato con rimpianto e affetto, tanto affetto, a Aldo Biscardi, l’uomo che introdusse in tv i sondaggi sul calcio. Per due o tre anni ho fatto parte della sua squadra di opinionisti, ero il più giovane e bello (avreste dovuto vedere gli altri; anzi, li avete visti). Non posso dimenticare quando nell’aprile ’91 mi fece debuttare al Processo del lunedì su Raitre da 3 milioni e mezzo di telespettatori, teatro delle recite estemporanee di Andreotti e Rognoni, Squitieri e Rozzi, Anconetani e Zeffirelli, Herrera e Giucas Casella, De Cesari e Cucci.

Ospite di quella mia prima puntata, Paul “Gazza” Gascoigne. Inizialmente ero intimidito ed emozionato, mi sudavano le mani: mi ritrovavo arruolato da un improbabile barnum, un format - l’alto e il basso insieme - in seguito ripreso e adattato dai talk politici. Dal ’93 in avanti Aldo cambiò più volte casa: Tele+, Tmc, poi La7, 7 Gold, infine T9. Lo abbandonai dopo Tele+ quando all’alto e il basso sostituì il medio e il fondo (del barile), ma posso garantire che Biscardi ha insegnato a me e ad altri tantissime cose della tv.

Lo chiamavo Mangiafuoco, noi i suoi burattini spesso recalcitranti. Aldo aveva fiuto giornalistico, fantastici tempi televisivi, accensioni leggendarie, sollecitava guerre e paci in diretta, una scaletta rigida e soluzioni mai più ritrovate in altri. I suoi sondaggi hanno fatto la storia della televisione e talvolta anche quella della comicità. Erano sempre milioni, a suo dire, i telespettatori che fornivano risposte alle domande («era rigore per la Juve?», «Gullit o Maradona?») anche quando la partecipazione del pubblico non aveva superato le cinquecento telefonate. Il 51 a 49 per cento lo aborriva (anche Mughini faceva parte della compagnia) e subito lo trasformava in un 70 a 30 o in un 80 a 20 perché «se non c’è una distanza netta il sondaggio non serve a ‘n cazzo».

La Rai non ha mai cacciato una lira per la realtá romanzesca: Aldo la costruiva da solo. I famosi sondaggisti, utilizzati e ben pagati per altre trasmissioni paludate, spesso e volentieri hanno attaccato l’asino dove voleva il padrone. Al proposito mi raccontava Cucci che avendo richiesto un sondaggio politico a un’importante società si sentí chiedere: «Chi le interessa che vinca?». Fu servito ad hoc. E perse.

Ieri, dicevo, ho letto i risultati del sondaggio di Comin, società tra le più serie e considerate: dei quasi mille interpellati il 64% si è detto contrario alla ripartenza del campionato. Sabato scorso a Radio Deejay ne avevo realizzato uno identico e il 71% si era espresso a favore. Googolando, mi sono imbattuto in quello commissionato dal sito dei tifosi del Verona, Hellas 1903: il 58% vuole che si torni in campo anche perché la squadra di Juric sta lottando per un posto in zona Uefa, oggi sarebbe ai preliminari. Quelli del Brescia, ultimo, sono invece palesemente contrari: la città è stata devastata dalla pandemia e la reazione della gente è assai comprensibile. Se lo stesso sondaggio fosse esteso alla capitale, il 99% dei laziali, secondi a un punto dalla Juve, e l’80 dei tifosi della Roma, in corsa per la Champions, direbbero sì alla ripartenza. Soltanto venti romanisti su cento voterebbero per il blocco, ma solo per scongiurare l’ipotesi dello scudetto a Lotito.

Conclusione: i sondaggi sul calcio sono una gran cazzata poiché condizionati dal tifo, dalla posizione in classifica della squadra del cuore e degli avversari, dagli obiettivi. Quelli sulla paura mi riportano invece a una battuta del cabarettista olandese Wim Kan: «Sondaggio: domandare opinioni che la gente non ha».

PS. Ho avuto il coraggio di sfogliare le pagine del protocollo del Politecnico, assai discutibili le conclusioni sul calcio. Mi ha colpito la parte che riguarda la danza sportiva alla voce bachata, merengue, salsa e mambo: se non vivessimo un incubo ci sarebbe da ridere. Allora domando: perché chiederlo al Politecnico e non al sottoscritto?


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