Moriero: Aiuto i poveri, è la vittoria più bella

A Lecce l’ex attaccante (con Miccoli) consegna la spesa ai concittadini che ne hanno bisogno. Con guanti, mascherine e qualche lacrima
Moriero: Aiuto i poveri, è la vittoria più bella
Guido D'Ubaldo
10 min

ROMA - A cinquantuno anni si può cominciare un’altra vita, più giusta e libera se vuoi. Francesco Moriero è stato un calciatore affermato: ha giocato in squadre importanti e con i giocatori più forti al mondo, ha vestito la maglia della Nazionale, è stato un beniamino del pubblico, ha guadagnato bene, il calcio gli ha dato tanto. Grazie ai tifosi. «Senza i quali noi non saremmo nessuno». Moriero ha vissuto a Roma per tredici anni, poi è tornato a Lecce, dove tutto cominciò, 51 anni fa. «Allora ho sentito l’esigenza di restituire qualcosa alla mia gente. I miei concittadini hanno bisogno di noi e noi ci mettiamo la faccia, per aiutare le famiglie leccesi». Facce coperte dalle mascherine per proteggersi dal virus. La solidarietà vale più di un gol o di uno scudetto vinto, soprattutto in momenti come questo. «Tanti ex compagni mi hanno mandato video, maglie da mettere all’asta. Totti, Candela, Ferrara, Aldair, Nainggolan, Pisacane, Petrachi mi ha mandato quella di Dzeko, Conte due dell’Inter, il presidente del Lecce una maglia storica. Le mettiamo all’asta e il ricavato ci serve per fare la spesa». La vita è cambiata, il cuore si è aperto. «Da un mese io e Miccoli andiamo in giro per la città, con l’Associazione Angeli di quartiere. Andiamo nei supermercati ad acquistare generi di prima necessità e poi andiamo nelle case. Con noi tanti ragazzi che hanno perso il posto di lavoro e che vogliono aiutare, vengono a fare le consegne con i mezzi del lavoro che non c’è. La fantasia è scesa in campo, non più per una partita di pallone, ma per regalare un sorriso a chi non se la passa bene. Gli anziani sono commoventi. C’è chi ha fatto la guerra, ha conosciuto la fame. Sono i primi ad aiutare i giovani che hanno bisogno».

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Moriero, ci racconti come nasce questa iniziativa

«Con le aste dei giocatori abbiamo raccolto 7000 euro in due settimane. Anche Achille Lauro ha aderito alla campagna di sensibilizzazione con un video. Quando andiamo nelle case lasciamo le buste davanti alla porta e ci allontaniamo, le persone ci salutano da lontano. C’è tanta povertà in giro. Ma le famiglie hanno tanto orgoglio e hanno paura di chiedere. Quando vado nel quartiere 167 dove ho trascorso l’infanzia ritrovo tanti anziani che mi hanno cresciuto e mi vengono le lacrime agli occhi, ma torno a casa stanco e pieno di gioia. Andiamo anche nelle case famiglia, portiamo giocattoli e sorrisi ai bambini. All’associazione ci arrivano le richieste, c’è gente che non ha la possibilità di ricevere i buoni spesa, così carichiamo le macchine e partiamo».

Quale molla vi ha spinto?

«Facciamo sette consegne al mattino e quattro al pomeriggio. Con il motorino o il camioncino dell’elettrauto. La gente ha bisogno anche di un pacco di pasta. Questo impegno vale più di un gol, di uno scudetto, della maglia della Nazionale. La mia famiglia è a casa e sta bene. ho tre figli, Federico ha 23 anni e studia a Roma, Francesca di 20 e Marco di 10. Quando torno gli racconto quello che abbiamo fatto, i più grandi vengono a dare una mano. Quando ho saputo che Miccoli stava facendo qualcosa per i nostri concittadini ho deciso di aiutarlo».

Che realtà affronta ogni giorno?

«Vedi storie di vita che ti aprono il cuore. Noi vogliamo ridare qualcosa alla nostra gente. A quei tifosi che ci hanno incitato, criticato, che ci hanno permesso di vivere il mondo del calcio come dei privilegiati, ora voglio dare qualcosa in cambio. Così come mi sento di ringraziare i giornalisti, che ci hanno fatto diventare importanti. Abbiamo l’obbligo di aiutare le nostra gente».

Si discute molto sulla ripresa del campionato

«Quanta gente ha voglia di calcio. Gli appassionati come me la mattina leggevano i giornali sportivi per essere informati sul campionato, oggi la prima cosa che faccio sento la conta dei morti. Pensare al calcio è più difficile, ma se il campionato ricomincia regala qualche ora di serenità. Bisogna farlo in massima sicurezza, ascoltando il parere degli scienziati. A me piacerebbe che il calcio ricominciasse, ma nessuno si prende la responsabilità di dire se si può fare e come. Nessuno deve rischiare».

A Lecce c’è tanto entusiasmo per la squadra di Liverani

«Stava andando bene. Fabio è bravo, sta facendo un grandissimo lavoro, la squadra ha qualità, il presidente ha riportato entusiasmo».

Moriero quando riparte?

«Sono ancora sotto contratto con la Cavese, c’era stato qualcosa per andare in Kazakistan o in Cina, in Italia è diventato difficile, anche in Lega Pro. Vorrei provare un’esperienza all’estero. Sarei potuto tornare alla Roma se avessero allestito la squadra B, quando Totti era dirigente. C’era il dubbio di Daniele De Rossi che doveva fare l’allenatore».

A Roma i tifosi ancora le vogliono bene

«Ho vissuto tre anni bellissimi. In questi giorni di lockdown mi sono rivisto la partita contro lo Slavia Praga. Una beffa incredibile. L’ho fatto per i miei figli, io non avevo più avuto il coraggio di rivederla. Eppure quella sera venne fuori lo spirito di quella squadra con tanti romani. I miei figli sono innamorati della Roma. Con Totti sono rimasto molto amico. Marco, il più piccolo, è nato a Roma ed è tifoso. Lo portai qualche anno fa a Trigoria. Francesco stava per smettere e gli ha detto: “Devi continuare, adesso io sono piccolo, voglio diventare capitano della Roma e tu devi esserci”. Alla scuola calcio ha sempre la fascia di Totti al braccio».

Ronaldo e Totti sono stati i più grandi campioni con i quali ha giocato?

«Loro, ma anche tanti altri. A Lecce Barbas e Pasculli, a Cagliari Matteoli e Francescoli, a Roma Giannini, Totti e Aldair. Quella era una squadra di carattere, rappresentava la tifoseria romana. Erano altri tempi, una Roma che è rimasta nel cuore dei tifosi».

All’Inter le più grandi soddisfazioni

«Bei ricordi, tantissimi campioni, da Ronaldo fino a Bergomi, Zamorano, Ronaldo, Zanetti».

E Recoba, al quale la lega l’episodio dello Sciuscià

«In una partita contro il Brescia perdevamo e Recoba che era partito dalla panchina segnò due gol. Il secondo fu una punizione clamorosa sotto l'incrocio, a tre minuti dalla fine. Mi misi in ginocchio e gli lustrai lo scarpino, un gesto di ammirazione».

In Nazionale poche partite, con l’eliminazione al Mondiale del ‘98 contro la Francia ai rigori

«Uscimmo ai quarti di finale. Avevamo una Nazionale di grandissimi campioni. Peccato, se fossimo passati avremmo vinto il Mondiale. Quanta sfortuna: Vieri sbagliò da un metro di testa sul mio cross e l’azione di Baggio con il pallone uscito per cinque centimetri. Di Biagio calciò il rigore sulla traversa e scoppiò a piangere. Andammo tutti a consolarlo, anche Candela, che giocava con la Francia».

Il calcio le ha dato tanto

«Ho giocato in piazze importanti, partendo da Lecce, con una promozione e due salvezze. L’esperienza in Europa con il Cagliari. La Roma con la maglia numero sette che era stata di Conti. Io da bambino dicevo sempre di voler diventare come Conti e Causio. Ho avuto la fortuna di giocare con il numero uno al mondo, Ronaldo. Mi sono divertito e ho fatto divertire».

Mazzone è l’allenatore al quale è rimasto più legato

«E’ stato il mio papà adottivo. Mi fece esordire a 17 anni contro Cabrini. Pesavo 52 chili. Mi chiamarono dalla spiaggia».

Spieghi meglio

«Quattro ragazzini della Primavera erano stato aggregati per il ritiro della prima squadra. Eravamo io, Garzya, Petrachi e Conte. Finito il ritiro rientravamo con i giovani. Un giorno ero a fare un torneo sulla spiaggia, a Frigole. Mazzone fa la rifinitura a Via del Mare, un calciatore si infortuna, Palese o Raise, non ricordo. Serve un esterno. Neri, il secondo di Mazzone mi fa cercare. Mio padre viene a chiamarmi con la 126. Ero in costume, sudato. Mi faccio una doccia e vado in ritiro. C’è la colazione prepartita, esco dalla stanza e incrocio Mazzone. Ascensore insieme. Ero in soggezione. Mi fa: “Sei emozionato? Tanto non mi frega niente, giochi tu”. Io pensavo di andare in panchina e mi ritrovo titolare. Perdiamo 3-0 in Coppa Italia, mi trovo in mezzo al campo, vedo Cabrini che andava e veniva. Gioco quasi sulla linea laterale, quando passo davanti alla panchina Mazzone fa: “Guarda che la partita è cominciata da 10 minuti e non te ne sei accorto. Devi fare anche il biglietto di ritorno, non solo di andata”. Da allora ho capito che dovevo impegnarmi nella fase difensiva. Con lui ho avuto un rapporto straordinario. Sono andato a trovarlo ad Ascoli quando allenavo a San Benedetto. L’ho sentito poco tempo fa per gli auguri».

Con Mazzone un derby a Roma memorabile

«Quello che vincemmo 3-0. Di fronte avevamo la Lazio stratosferica di Zeman e noi passavamo un periodo difficile. Per tutta la settimana la stampa esaltava i biancocelesti e noi eravamo gli scappati di casa. Mazzone ci caricò, ci faceva trovare tutti i giorni gli articoli di giornale. Quel giorno potevamo vincere anche 8-0. Mazzone alla fine corse sotto la curva. Se lo era meritato».


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