Spadafora pensa positivo

Spadafora pensa positivo© ANSA
Ivan Zazzaroni
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Spadafora è più prevedibile di un pendolo. Ieri ho scritto che «l’asintomatico anonimo è verosimilmente un assist servito al ministro che, ricevuta la palla, tenta subito il tiro, il più delle volte sbagliando porta (leggi i riferimenti al ritardo della Premier e alla posizione degli ultrà)». E intorno a mezzogiorno, più astuto e rapido di un furetto, il Nostro, intervistato da Seilatv Bergamo (non si fa mancare proprio nulla), ha sfiorato il gol. La porta era vuota: «Le notizie degli ultimi contagi non fanno ben sperare» ha detto con sincero godimento. «Fino a quando non si avranno novità sull’evoluzione sanitaria, non si potranno dare risposte certe. La parola d’ordine è prudenza, e quanto accaduto nelle ultime 24 ore non aiuta».

La strumentalizzazione dei positivi da parte di Spadafora & friends e di alcuni medici, sempre gli stessi, è una delle pratiche più scontate, sospette e intollerabili di questa fase. Servirsene a Bergamo, diomìo, è ancora più intollerabile: conferma la totale incapacità di recitare il ruolo che gli è stato affidato (d’ufficio) di gestore del bene pubblico. Gravina ha fatto male a dichiarare «non voglio essere il becchino del calcio»: ha dato l’idea a un solerte volontario.

Se le parole in libertà di Spadafora hanno un senso, basterà un operaio positivo per chiudere la fabbrica o un cantiere. Oppure un carabiniere o un poliziotto contagiato perché un intero comando e una questura smettano di essere operativi.

Sono sconcertato. Un Paese senza certezze non ha speranza. Un Paese senza certezze alimenta soltanto dubbi, tipo quello relativo alle positività riscontrate dopo 55 giorni di lockdown: forse la scienza dovrà rivedere alcuni principi sul Covid.

Spadafora ha un solo merito: ci mette la faccia, si piace un sacco. Alcuni presidenti preferiscono invece mandare avanti gli altri oppure fare le cose di nascosto: rispetto per Cellino che si espone in prima persona, anche se ha posizioni diametralmente opposte alle nostre; assoluta disistima per chi non ha il coraggio di confessare che non vuol tornare a giocare perché teme la retrocessione (o un quinto posto) e non intende pagare 4 mesi ai giocatori.

Alla lettera aperta che gli scrivemmo qualche settimana fa Spadafora ha risposto solo indirettamente. Insisto: signor ministro, perché non si fa intervistare da chi non la pensa come lei e lavora nel calcio da 40 anni, non da un mese? Perché non risponde alle domande di chi potrebbe toglierle qualche dubbio e anche molte convinzioni con la forza degli argomenti e dei numeri? E perché, infine, non prova a entrare nella parte del ministro dello sport? Questa non può, né deve essere una sfida a braccio di ferro tra lei e Gravina e Dal Pino che vogliono far sopravvivere il calcio alla crisi del secolo. Si ricordi una cosa: quando, grazie alla sua ostinazione, il banco salterà, decine di calciatori si ritroveranno a spasso insieme a 50mila lavoratori, numerose società non saranno in grado riprendere l’attività e il buco avrà raggiunto i 3 miliardi e due, lei non avrà firmato la ristrutturazione del calcio, ma il suo affossamento. Aveva ragione Arbasino, «il sonno della ragione genera ministri».

Mi ascolti: non si faccia più trovare dai presidenti sbagliati, gli stessi che quando avranno risolto i loro problemi economici decuplicando quelli del sistema, la abbandoneranno a un insolito, inevitabile, meritato destino nell’azzurro mare d’agosto.


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