Lippi striglia l'Italia: “Dignità per il calcio”

Intervista all’ex ct degli Azzurri campioni del mondo nel 2006: "Troppa demagogia, ci si dimentica che parliamo di un’industria. Leggo e sento cose vergognose. Moriremo di individualismo, a ogni livello si pensa soltanto al tornaconto, alla poltrona"
Lippi striglia l'Italia: “Dignità per il calcio”© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Dura nove minuti e mezzo: nasceva come un’intervista e si è presto trasformata in un monologo coraggioso, appassionato, potente, libero: di quella libertà che si conquista con l’età, l’esperienza e tanti successi e consensi. Marcello Lippi a Radio Deejay, ieri all’ora di pranzo: io e Fabio Caressa ad ascoltarlo riducendo all’essenziale le domande.

Gli elementi della conversazione amichevole, il tono giusto, una partenza di leggerezza piena e risate, tante, alla quale ha fatto seguito un’improvvisa invettiva contro l’individualismo di un Paese - il suo, il nostro, l’Italia - e contro la poltronofilia (copyright Grillo? nda), la demagogia, l’indecisionismo, l’ipocrisia.

Lippi si è riscaldato ricordando Bob Vieri, il padre di Christian “shave like a bomber”: «Era troppo forte» l’esordio «vi racconto una cosa, l’ho raccontata a Bobo, s’è messo a ridere e non smetteva più. Bob arrivò a Genova nel ’66-67, con un Gt veloce. Vi ricordate il Gt veloce? Era la macchina dei papponi, a quei tempi c’erano la Fulvia coupè col tettino bianco e il Gt veloce, lui venne col Gt veloce. Mentre andava all’allenamento a Recco lo fermò la polizia, gli chiese i documenti e lui: “La patente ‘un ce l’ho, ‘un ce l’ho”, in toscano. “Come non ha la patente?” “Sì, lo so, ‘un ce l’ho. Ho comprato la macchina, vuol dire che piglio anche la patente”. La sua logica era questa: scusate, eh, ho comprato la macchina, certo che prenderò anche la patente, sennò che la compravo a fa’ la macchina?».

Si capiscono anche tante cose del figliolo.
«Ma no... era forte, era troppo forte il papà di Bobo. Simpaticissimo, ed era un genio. Bernardini era innamorato di lui».

Hai avuto un grande maestro, lo ricordi spesso.
«Il più grande di tutti, il più grande di tutti». Fateci caso, Lippi per abitudine reitera le frasi, quasi a volerne rafforzare il contenuto. «Fulvio Bernardini è la fi gura non solo professionale che mi sono sempre posto come punto di riferimento. Intanto a quell’epoca era l’unico laureato. In Economia e Commercio, un uomo intelligente, colto. E aveva una qualità eccezionale per chi guida una squadra, un gruppo di lavoro in generale: imponeva la sua personalità senza annullare quella degli altri».

Noi bolognesi saremo eternamente grati e legati a “Fuffo” Bernardini, il padre dell’ultimo scudetto.
«Eh, lo so, lo so. Era fantastico. Abitavo vicino a lui, pensa, a Bogliasco. Quando divenne citì della Nazionale andarono a giocare in Olanda, persero 3 a 1, lui mise Orlandini a marcare Cruijff, no? Il giorno dopo, rientrando a casa, mi scorse su uno scoglio, stavo pescando, si avvicinò, si sedette di fianco a me e mi raccontò tutta la partita. Pensa che persona era…».

Leggi l’intervista completa sull’edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio


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