La guerra dei contratti: il caso prestiti e il paradosso Smalling

No a proroghe obbligatorie oltre il 30 giugno. Calciatori furiosi per le norme sugli stipendi
Andrea Ramazzotti
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MILANO - È caos sui contratti dei giocatori. Sia perché non c'è una norma "universale" per prolungare quelli validi fino al 30 giugno. Sia perché il blocco dei pagamenti di marzo e aprile che alcuni club vogliono portare avanti non impedirà ai presidenti di ottenere l'iscrizione ai campionati 2020-21. L'Aic è sul piede di guerra e ieri in consiglio federale lo ha fatto capire votando no alla delibera sulle licenze nazionali (anche l'associazione degli allenatori si è opposta). Ipotizzare adesso uno sciopero è prematuro, ma il vicepresidente dell'Aic, Umberto Calcagno, da noi raggiunto telefonicamente, ha tuonato: «Ci vogliono far tornare in campo senza pagarci. Così non va bene»..

DURATA CONTRATTI - E' il primo rebus. Riguarda i calciatori in scadenza il 30 giugno e quelli in prestito, sempre fino a quella data. La Fifa ha dato l'indicazione di prolungare tutti questi accordi tra le parti fino al termine della stagione, ma non ha il potere di emanare una norma perché ogni Paese ha il suo diritto del lavoro e ogni federazione ha le sue norme. Infantino si è dunque fermato a un “suggerimento”. L’Uefa non ha poteri in ambito di tesseramento. Ogni federazione dovrà dunque uscirne con l'aiuto della propria lega, magari sperando in un assist (sempre sotto forma di moral suasion) da parte dell'Eca e della Fifpro, il sindacato dei giocatori.

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