Zarate, Fiat-Aia, Malagò: resa dei conti in Serie A

Zarate, Fiat-Aia, Malagò: resa dei conti in Serie A
Ivan Zazzaroni
5 min

Mi sbaglierò, ma questa ha tutta l’aria di essere una resa dei conti tra presidenti di serie A o, nella migliore delle ipotesi, una serie di reazioni scomposte ad attacchi tanto trasversali quanto feroci. Le polpette avvelenate vengono servite fredde, alcune addirittura congelate. Prima la riesumazione del caso Zarate (anno 2009) per mettere nei guai Lotito, subito dopo l’inchiesta sulla sponsorizzazione Fiat a Figc e Aia, la cui paternità qualcuno ha attribuito allo stesso presidente della Lazio (improbabile, visti i destinatari della polpetta), infine la vicenda del 2018 relativa all’elezione dell’”ineleggibile”, per conflitto di interessi, Gaetano Miccichè, membro del CdA di Rcs, per la quale il presidente del Coni Malagò, all’epoca commissario di lega, risulterebbe oggi indagato per falso (notizia anticipata dal Corriere della Sera). E qui la manina si riconosce.

Ottenuto l’audio della contestatissima assemblea, alcuni mesi fa Giuliano Balestreri di Business Insider scrisse che «dopo l’apertura di un’indagine da parte della Procura federale sull’elezione di Gaetano Miccichè a presidente della lega (19 marzo 2018) e le sue dimissioni (19 novembre 2019) la registrazione che pubblichiamo in esclusiva mostra come al Serie A sia spaccata e incapace di darsi una qualsiasi governance. Peggio, non sembra in grado di decidere dove andare nei prossimi anni, ostaggio di 20 presidenti che non vanno d’accordo su nulla». Per la verità qualcosa è cambiato a inizio 2020 con l’elezione, anch’essa ostacolata, di un altro manager esterno, Paolo Dal Pino, pur se – come abbiamo visto nei mesi del lockdown e della battaglia per la ripartenza – la conflittualità è stata sì ridotta e in parte governata, ma non azzerata. Prova ne siano gli effetti attuali.

Sulle anomalie emerse stanno lavorando i pm Paolo Filippini e Giovanni Polizzi, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli. Provo a spiegare le principali, riducendo il burocratese.

1) L’ordine del giorno prevede al punto 3 “modifiche statutarie”. Nell’occasione viene approvata una modifica dell’articolo 10 attraverso la quale, “con il voto unanime delle società aventi diritto”, si elimina l’incompatibilità tra la carica di presidente della confindustria del calcio e ruoli nei board di società con interessi nello stesso settore: Miccichè, come detto, fi gura nel CdA di Rcs. La modifica del 19 marzo diventa efficace con la ratifica della federcalcio che avviene grazie al commissario straordinario Fabbricini soltanto il 26 marzo 2018, ovvero una settimana dopo. Pertanto, quando Miccichè viene eletto, la nuova norma non è applicabile.

2) L’articolo 9 dello statuto stabilisce che “tutte le votazioni che riguardano le persone devono tenersi per scrutinio segreto”. L’elezione di Miccichè avviene per acclamazione, nonostante nel corso dell’assemblea sia il presidente del collegio dei revisori dei conti, sia il giudice sportivo - che per ruolo devono controllare la regolarità delle operazioni - evidenzino la necessità che la votazione si svolga a scrutinio segreto. Dopo aver ascoltato le indicazioni del giudice sportivo e aver votato, l’assemblea - nel momento in cui lo stesso giudice si accinge a iniziare lo scrutinio - decide di non procedere allo spoglio e di approdare all’unanimità con voto palese. Le schede mai scrutinate vengono chiuse in un plico sigillato, custodite dallo stesso giudice sportivo e in seguito depositate da un notaio di Milano. La Procura della Figc aveva archiviato l’istruttoria, pur segnalando “plurime irregolarità”, la Procura di Milano ipotizza il reato di falso: il verbale sarebbe stato falsificato, lo statuto calpestato. Al nuovo calcio, non dico quello che partirà il 13, ma l’ormai tollerato calcio business globalizzato, o degli intrecci tra sport, politica, imprenditoria e editoria, non manca molto per diventare frutto naturale del Belpaese, mentre per decenni è riuscito a conservare una vitale diversità. Manca, e lo suggerisce l’attualità, soltanto un giudice Palamara. Di intercettazioni è invece prodigo, molte delle quali mai considerate.


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