Scuola e calcio, perché nemici?

Scuola e calcio, perché nemici?© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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Gli apostoli dell’emergenza continuano a deliziarci con le loro perle di saggezza. Se il coordinatore del comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo, ci aveva offerto l’altro ieri un esempio di pensiero arrogante - quando ha detto: «La scuola deve riaprire, il calcio no, non è una priorità» -, il suo collega Massimo Galli si è cimentato ieri in una performance di pensiero ignorante. A riprova di come la sapienza scientifica non risparmia le peggiori figure, quando ci si avventura oltre il recinto delle proprie competenze. Sentite che dice il virologo milanese, divenuto ormai un personaggio televisivo: «Tra scuola e stadi non ci dovrebbe essere gara. Il calcio è uno spettacolo non essenziale che può essere fruito anche da casa. Come per le discoteche, qualsiasi situazione che determina un ammassamento di persone è insidiosa. Puoi tenere il distanziamento all’interno dello stadio, ma non riesci a farlo all’entrata e all’uscita».

Nessuno contesta che la scuola sia per un Paese l’attività più importante. Semmai i professionisti del lockdown dovrebbero chiedersi perché sia rimasta chiusa sei mesi, e perché ancora non sappiano come riaprirla, mentre in altri Stati europei le lezioni sono ripartite a maggio e a giugno, senza apprezzabili contraccolpi nella curva dei contagi. Che tra scuola e calcio non ci sia partita è affermazione così scontata da apparire un luogo comune. Ma perché mettere i due sistemi in contrapposizione? Quale evidenza scientifica dimostra che riaprire contemporaneamente scuole e stadi sia pericoloso? Galli non lo dice perché non lo sa, si muove a tentoni nel buio di conoscenze e competenze organizzative, e non solo virologiche, che non ha. E con lo stesso azzardo con cui a febbraio rassicurava che la pandemia non avrebbe rappresentato un problema per il nostro Paese, adesso prescrive che gli stadi restino chiusi affinché la scuola riparta. Qualcuno tra i ministri che lo hanno assoldato e reso famoso vuole spiegargli che è meglio se parla di ciò che ha studiato?

Ma il prof non si ferma qui. E aggiunge un’altra perla di demagogia: «Il calcio - dice - è uno spettacolo non essenziale che può essere fruito anche da casa». La prima valutazione è un giudizio politico. Spetta a lui dire che cosa è essenziale e che cosa è irrilevante? Il calcio è la più grande passione per milioni di italiani, trasversale a tutte le età, le culture e il censo. Per molti è l’unica forma di partecipazione alla vita pubblica. Ci sono cittadini che non studiano, non leggono libri, non frequentano cinema e teatri, ma attraverso le informazioni sul calcio a loro modo accedono a un universo culturale, e si sentono parte di una comunità nazionale. Lo sa questo, Galli?

Certamente non sa che, al contrario di ciò che dice, il calcio non può essere fruito da casa se gli spalti restano deserti. Perché i botteghini sono chiusi dall’8 marzo scorso. E perché stanno venendo meno le altre fonti di sostentamento del sistema, e cioè gli sponsor e i diritti televisivi. I primi hanno preso a girare al largo dai club. Non solo perché i brand non possono essere più veicolati tra il pubblico, ma perché la partita è per gli sponsor l’occasione per invitare e tessere relazioni istituzionali e commerciali con i loro clienti. Senza ospitality, le imprese non hanno alcun interesse a investire in una squadra.

Quanto ai diritti, un calcio senza pubblico è un fenomeno amputato nella sua spendibilità commerciale: non a caso Sky, in linea con quanto è accaduto in tutta l’Europa, ha aperto un contenzioso con la Lega per uno sconto contrattuale. La chiusura prolungata degli spalti sta facendo venir meno tutte le leve fi nanziarie dell’economia sportiva. In queste condizioni presto il professor Galli non potrà, tornando a casa dopo le sue performance televisive e le sue interviste ai quotidiani, assistere alle partite in tivù, perché i suoi divieti stanno spegnendo il calcio. Glielo spiega qualcuno?

Quanto al rischio di “ammassamenti”, Galli dovrebbe chiedersi come mai in Germania, dove pure la curva dei contagi ha ripreso a crescere più che in Italia, le scuole riaprono insieme con gli stadi. Da metà settembre i club, d’intesa con le autorità sanitarie locali, definiranno la capienza compatibile con le condizioni logistiche e epidemiologiche del territorio. Si tratta di aperture parziali, che tuttavia non hanno impedito a Magdeburgo di autorizzare la presenza sugli spalti di 7.500 tifosi. Settemilacinquecento tifosi sono un undicesimo della capienza totale dello stadio Meazza. Perché dovrebbe impedirsi, senza assembramenti e senza tifosi ospiti, che una minoranza possa godere dello spettacolo, riaccendendo le luci della speranza?

«Fino a quando la situazione è questa - dice ancora Galli - bisogna rinunciare al superfluo». È un’affermazione che ci sentiamo di condividere, poiché in un Paese chiamato a ripartire e a convivere con il virus con prudenza, competenza e abilità organizzativa, c’è una cosa che più di tutte è superflua: la saccenza degli pseudo-esperti come lui.


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