Donnarumma, il sacro e il profanato

Donnarumma, il sacro e il profanato© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Se pago il biglietto ho il diritto di fischiare chi voglio, in questo caso il calciatore dal quale io, tifoso della squadra in cui giocava fino a pochi mesi prima e che ha lasciato peccando di ingratitudine, mi sento tradito. Questo l’assunto di Fabio Caressa con il quale ieri ho avuto una discussione particolarmente accesa (e seguita) alla radio. Per dirla alla Garzya, sono totalmente d’accordo a metà con lui. Perché quando la squadra è la Nazionale e il contesto un impegno degli azzurri, il discorso non regge più.

La maglia dell’Italia non è una maglia qualsiasi, si indossa per meriti, non per contratto: è un simbolo e chi la porta gode di una protezione che deve durare dal primo minuto a - eventualmente - i rigori. Il simbolo, secondo Jung, non è né allegoria, né segno, ma l’immagine di un contenuto che per la massima parte trascende la coscienza. E la Nazionale non può avere un valore inattaccabile soltanto quando ci fa comodo, ovvero quando vince riempiendoci d’orgoglio. Per questo è inaccettabile, dal mio punto di vista, che un italiano fischi un azzurro “in action” per disapprovare il comportamento che ha tenuto nel club, dove gli interessi prevalgono sempre più spesso sui sentimenti. Insomma, quella contestazione era decontestualizzata: se San Siro avesse ululato contro Gigio prima, durante e dopo Milan-Paris St. Germain, non mi sarei scandalizzato troppo.

Chi, poi, ha storto il naso di fronte alla nostra intervista a Mino Raiola, esponente di spicco della categoria considerata da molti il male assoluto del calcio, quella degli intermediari, provi a riflettere su questo punto: il male non può essere rappresentato da chi i soldi li riceve per un lavoro concluso, pur se con un’aggressività spiazzante, ma da chi li offre. Se - è solo un esempio - i qatarioti del Psg avessero versato venti o addirittura trenta milioni su un conto estero intestato a una società riferita a Raiola (in Francia le commissioni hanno un limite di legge del 10%) dovrebbero essere ritenuti i principali attori dello scandalo. Le mediazioni etiche sono un argomento che dovrebbe essere trattato con attenzione e senso di responsabilità dalle istituzioni - Fifa e Uefa - eppure non interessano agli organizzatori (e ex regolatori) del Circo. I quali, invece di fissare il confi ne del 3%, anacronistico e mai rispettato, una non-soluzione, dovrebbero far rispettare norme fondamentali quali quella, ad esempio, che vieta di pagare le famiglie dei giocatori o di creare società con loro. Il calcio non è un’isola felice. L’isola felice e più frequentata oggi è Malta. PS. Noi non siamo gli uffici stampa di nessuno e se Raiola o altre fi gure non secondarie di questo mondo chiedono di essere ascoltati, è normale che lo siano senza subire censure d’alcun tipo: la chiave è il contradditorio.

Il Ballone d’oro

Leo Messi è il campione che più amo da almeno quindici anni, la cosa più vicina a Maradona che abbia visto sui campi di calcio. Ma non può, né deve vincere il Pallone d’oro 2021, non lo merita: viene da una stagione deludente, una delle peggiori della sua strepitosa carriera, solo in parte riabilitata dal successo in coppa America. Il mondo, prima di France Football, glielo avrebbe consegnato volentieri se, invece di lasciare il Barcellona a rischio default, avesse accettato di restare con uno stipendio nominale. Aiutandolo così a risollevarsi. Quello che da tempo mi sfugge è il criterio col quale viene assegnato il trofeo. Un anno va al più forte in assoluto, dodici mesi dopo premia chi ha vinto di più. E quest’ anno a conquistare il maggior numero di titoli è stato Jorginho (Europeo, Champions e Supercoppa europea). Jorginho non è il miglior calciatore del momento, forse non entra nemmeno tra i primi quindici, ma il Pallone d’oro gli spetta di diritto. Così come in passato toccò a Sammer, Blokhin, Cannavaro, Nedved, Owen, i primi che mi vengono in mente. Se poi il (nuovo) criterio degli organizzatori francesi è la presenza nel francese Psg, mi rifaccio a un vecchio proverbio: Francia e Spagna purché se magna. 

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