Quando Pelé volò sull’Italia

Dopo la mitica Italia-Germania 4-3, i nostri sfidano il Brasile all’Azteca. Passano appena 18 minuti: Pelé si stacca da terra e brucia Burgnich con un gesto diventato leggendario. La sua rete contro gli azzurri nella finale del 1970 è tra gli emblemi della sua inarrivabile grandezza: rimase sospeso in aria prima di battere Albertosi
Quando Pelé volò sull’Italia© PANORAMIC/LAPRESSE
Alberto Polverosi
9 min
Cè ancora la foto nel corridoio del centro tecnico di Coverciano. Un’aquila in volo e il suo falconiere che si torce per afferrarla. Ma è tardi, l’aquila è già oltre le nuvole. Il falconiere tira tutti i muscoli del collo, non solo quelli dei polpacci, per arrivare fin lassù, ma ha capito che è un’impresa impossibile. Si mette per obliquo, ma niente da fare. L’aquila di Pelé spalanca le ali e resta sospesa nell’aria e nel tempo. E’ un attimo regale. Burgnich non può competere con chi abbatte le leggi della natura. Deve per forza arrendersi. Allora Pelé fa una cosa che non si è mai vista in un campo di calcio e mai più si vedrà: fa una finta di testa, mentre è in volo. Resta così a lungo per aria che, un attimo prima di girare in rete il cross di Rivelino in arrivo dalla sua sinistra, fa immaginare a tutti di mettere la palla sul palo lontano. E’ meno di una frazione di secondo, anche Albertosi forse è convinto che la palla finirà laggiù e non potrà prenderla. Invece Pelé decide di cambiare e la mette sul primo palo. E Albertosi non la prende lo stesso. 
È il gol dell’uno a zero di Italia-Brasile finale del Mondiale di Messico ‘70. Burgnich spiegherà più tardi che saltò in quel modo sbilenco perché gli scivolò il tallone del piede destro ed è una versione a cui dobbiamo credere. Anzi, in un altro giorno così triste per il gioco del calcio è bello pensare che ora Tarcisio sia lì a marcare da vicino il suo rivale e a spiegargli che sì, caro O Rei, hai fatto gol, ma perché sono scivolato. Non è la rete decisiva eppure mezzo secolo dopo ce la ricordiamo prima di tutti gli altri quattro gol di quella partita. Perché lì dentro c’è Pelé, c’è la grandezza di un istante che supera i decenni, i secoli e i millenni. Certo, la rete di Maradona contro l’Inghilterra (sempre in Messico, terra fertile per i più grandi del mondo) è un’altra storia, ma la nostra, di storia, si scontra quella fine mattinata messicana con la leggenda di Pelé. E non potremo mai dimenticarla. 
È il 21 giugno 1970, arriviamo alla finale dopo la partita del secolo, Italia-Germania 4-3. Ancora oggi, all’Azteca di Città del Messico, si ricorda in una targa l’epica di quella finale: “El estadio Azteca rinde homenaje a las selecciones de Italia (4) y Alemania (3), protagonistas, en el Mundial de 1970, del partido del siglo. 17 de junio 1970 . Anche se eravamo campioni d’Europa, sapevamo che per vincere il Mondiale dovevamo superare quell’impresa ed entrare nel campo dell’impossibile. Il Corriere dello Sport, allora diretto da Antonio Ghirelli, alla vigilia di Italia-Brasile fece un titolo bellissimo in prima pagina, fra una foto grande di Pelé e un’altra un po’ più piccola di Gigi Riva. Quattro righe a scorrere: “Zitto cuore, zitto. Non illuderci!“. Jairzinho a destra, Rivelino a sinistra, Tostao al centro e Pelé dove voleva lui. Ferruccio Valcareggi aveva deciso di marcarli tutti a uomo, come si faceva allora. Facchetti su Jairzinho, Bertini su Rivelino, Rosato su Tostao, Burgnich su Pelé che nei primi minuti, come scrisse Gianni Brera, era controllato da Bertini
Rivista la partita intera in queste ore, si ha la certezza che l’Italia giocò alla pari del Brasile fino al 2-1 di Gerson, il migliore in campo (dopo Pelé) in quella finale. E tranne il gol di Gerson, nelle altre due reti c’era sempre il tocco di Pelé, assist per Jairzinho e assist per il 4-1 di Carlos Alberto. Nell’ultima scena si vede l’arbitro tedesco Glöckner che fischia la fine e Rosato che scatta verso il centro del campo per andare ad abbracciare Pelé mentre i tifosi lo stanno sollevando sulle loro spalle. Lo aveva appena battuto e ora lo abbracciava. Era come riconoscerne la grandezza assoluta, come rendere omaggio non a un giocatore di calcio, ma al gioco del calcio. Rosato sapeva tutto questo. I ricordi freschi e affascinati del cronista davanti alle immagini su youtube si mischiano a quelli assai più tristi di un ragazzino davanti a un cassettone che in quegli anni rinchiudevano i televisori, un Brionvega per l’esattezza, con la voce di Nando Martellini che arriva davvero da un altro mondo, con il cronometro stampato sullo schermo, grosso così, che appare solo ogni 5 minuti, con l’unico pallone che quando esce alle spalle della porta di Albertosi finisce in un fossato e ci vuole un po’ per recuperarlo. Il ragazzino che aveva urlato sul terrazzo di una casa di amici, in un piccolo paese della campagna fiorentina, tutta la sua gioia dopo il 4-3 con la Germania, adesso era triste, non aveva ancora realizzato ciò che gli era passato davanti agli occhi, non si rendeva conto che un extraterrestre aveva attraversato lo schermo con le immagini un po’ sbriciolate per consegnarsi alla gloria eterna del football. Il ragazzino aveva visto Pelé in diretta tv, ma piangeva perché la sua squadra non aveva vinto il Mondiale. Ragazzino, che sciocco, non poteva vincerlo l’Italia, di là c’era O Rei. 
 
 

 

 

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