Vialli che sorrideva alla vita stringendo gli occhi

Vialli che sorrideva alla vita stringendo gli occhi© EPA
Ivan Zazzaroni
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La Nazionale aveva appena buttato via i Mondiali ed ero convinto che, nonostante il titolo europeo, l’orgoglioso Mancini si sarebbe dimesso. Mi rimaneva un dubbio. Il 26 marzo, due giorni dopo il disastro, scrissi a Luca: “Ieri ho sentito Roberto più sereno e oggi Gravina mi ha detto che vuole che lui resti. Non so davvero cosa augurargli”. Rispose “vedremo”. E io: “sei diventato democristiano”. Commentò con tre sorrisetti prima di concludere con una frase che mi gelò il sangue: “È che adesso vivo alla giornata e penso poco a quello che potrebbe succedere o non succedere!”. “È mancato Luca”, mi ha scritto Massimo Mauro alle 10 e 19 di ieri. C’è stato finché ha potuto, e anche oltre, ha fatto l’impossibile per allungarsi l’esistenza, per stare vicino alle figlie, alla moglie, alla madre, alla sorella, ai tre fratelli, agli amici e a Mancio: l’abbraccio di Wembley e le lacrime sono di uomini denudati dall’emozione, dalla gioia e anche dall’angoscia. Luca si è arreso soltanto poche settimane fa, esattamente cinque anni dopo l’intervento al pancreas del dicembre 2017. Un tormento infinito. All’inizio delle terapie - rivelò a Aldo Cazzullo - era ricorso al maglione sotto la camicia per coprire l’eccessiva magrezza derivata dalla chemio e mostrare ancora al mondo il Vialli “più normale”. In seguito ha accettato gli effetti visibili della malattia: il dolore è stato il compagno di viaggio più fedele e bastardo, a lungo soffocato dalla dignità.

Luca è sempre stato consapevole della sua condizione. Eppure desiderava rispettare gli appuntamenti da padre che si era fissato. Negli ultimi mesi, sfinito, si è chiuso al mondo come il leone che va a morire lontano dal branco. Aveva capito che il momento era troppo vicino, e nei rari istanti in cui non gli veniva somministrata la morfina aveva voluto salutare le “sue persone”. Aveva anche chiesto di interrompere le cure. Nella voce di Massimo Mauro e nei messaggi di Roberto Mancini avvertivo continuamente la sofferenza, la più feroce, di chi ha condiviso la vita con un amico così speciale. Mentre ieri mi chiedevano commenti, interventi televisivi, ricordi, ho ripensato a una battuta che mi fece durante un’intervista a Torino, ai tempi della Juve. «Mi avete sempre sopravvalutato, sono meno intelligente di quanto voi crediate». Amava la vita e se l’è goduta. Desiderava regalare vita e speranza agli altri. Nel 2013, insieme a Mauro, aveva dato vita alla fondazione che finanzia la ricerca sulla Sla e sul cancro. A oggi ha raccolto 4 milioni e mezzo di euro. Piaceva a tutti, Luca, i suoi occhi stretti per un sorriso hanno conquistato molti cuori. Quello di Giovanna, la prima fidanzatina alla quale firmava le giustificazioni per farla uscire da scuola. E di Cathryn, conosciuta a Londra negli anni del Chelsea. L’amore più grande.

La Vialli & Mancini è stata una società per azioni da gol: Luca l’empatico, Mancio l’introverso al quale l’amico riuscì a sottrarre la Juve: Boniperti aveva inseguito Robi per anni. È stato un campione, uno che faceva gol e gruppo, gli allenatori lo amavano («Lippi è sempre stato il mio messia, il mio modello in tutto»). In queste ore le figure e i ricordi personali si accavallano. Negli anni della Samp Paolo Condò, che lavorava alla Gazzetta, ed io, prima al Guerino e poi al Corriere dello Sport, ce li eravamo “divisi” da buoni fratelli ma anche concorrenti, ereditandoli da Marco Montanari che se li era coltivati nell’Under 21 di Vicini: Mancio e un po’ di Luca al sottoscritto, Luca e un po’ di Mancio a Paolo. Nel ’96 Vialli passò al Chelsea: sapendo quando e da dove sarebbe partito per Londra, mi feci trovare all’aeroporto di Heathrow. Lui uscì dalle partenze insieme a Paolo che, astutamente, era salito sul suo stesso aereo meritandosi l’intervista esclusiva. Luca mi guardò sorpreso, sorrise e disse: «Questa volta è stato più furbo di te». Con lui non riuscivi ad arrabbiarti. Vialli è stato la Cremonese, la Juve («può piacere o non piacere ma è qualcosa di unico, per me è stato un privilegio far parte della storia di quella società; non è una società perfetta ma ha un dna vincente, quando indossi quella maglia, ne senti il peso»), il Chelsea, la Nazionale.

Ma quando penso a lui vedo la Samp di Paolo Mantovani, quando Marassi era il centro del mondo. La presidenza della Doria è stato il suo ultimo sogno. «La malattia non è esclusivamente sofferenza: ci sono momenti bellissimi» sono parole di Luca. «La vita, non l’ho detto io, ma lo condivido in pieno, è fatta per il 20 per cento da quello che ti succede, ma per l’80 per cento dal modo in cui tu reagisci a quello che accade. E la malattia ti può insegnare molto di come sei fatto, essere anche un’opportunità». Lui aveva poco da imparare. Ha avuto piuttosto occasione d’insegnare, anche come sopportare un male che pure si dice incurabile, vivendolo e allontanandolo, alleviandolo con le emozioni dell’amicizia e dell’amore, con una pienezza di sentimenti e energie che all’ultima ora si sono esauriti. Solo perché così ha voluto il destino. Non la resa di Luca.


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