"Tutti per uno", reality con la Nazionale Italiana Jazzisti tra calcio, cura e musica

Partita una campagna di sensibilizzazione sull'importanza dell'aderenza terapeutica. Il presidente della NIJ, Ladisa: "Sei puntate su Youtube e social per dimostrare che l'obiettivo si raggiunge assieme, in squadra"
"Tutti per uno", reality con la Nazionale Italiana Jazzisti tra calcio, cura e musica
Valeria Ancione
10 min

La musica salva la vita, lo sport pure e la cura correttamente eseguita altrettanto. E’ da questa triplice fusione che nasce “Tutti per uno - l’aderenza è un gioco di squadra” un reality calcistico realizzato da Gruppo Italia Servier in collaborazione con la Nazionale Jazzisti Italiani.

Quasi 200 mila persone con patologie cardiovascolari perdono la vita ogni anno in Europa per un mancato rispetto della cura assegnata, per questo il Gruppo Servier in Italia (azienda farmaceutica), in collaborazione con Conacuore e la Fondazione Italiana per il Cuore, attraverso il reality calcistico ha lanciato una campagna di informazione e sensibilizzazione sull’importanza dell’aderenza terapeutica nelle patologie croniche cardiovascolari. Un reality ironico, non competitivo e fortemente comunicativo che fornisce l’occasione per diffondere il concetto di “aderenza alla terapia”. Mai sentito parlare? Diciamo che il primo passo verso il raggiungimento dell'obiettivo è proprio “aderire alla terapia”, cioè eseguire le indicazioni del medico tanto per cominciare ed essere disponibile come paziente a collaborare. In sostanza, nessuno vince da solo ma in squadra.

In sei puntate, pubblicate sul sito www.alcuoredelladerenza.it/tutti-per-uno e sui canali social Facebook e Instagram di “Al cuore dell’aderenza”, sarà possibile seguire gli allenamenti della Nazionale Italiana Jazzisti e approfondire temi fondamentali per raggiungere il successo sia nell’aderenza terapeutica sia nel calcio. Poi se ci si aggiunge la musica, il piatto del salvavita è servito: terapia, calcio, musica sono una squadra perfetta.

MUSICA NEL PALLONE. Di nazionali di calcio ce ne sono tantissime, di ogni ordine professionale dai cantanti e attori ai magistrati ai sacerdoti. E poi c’è quella dei jazzisti che “suona” quasi strana. Perché il jazzista te lo immagini muoversi a un ritmo nobile, caldo, avvolgente, ovattato; il jazzista è un po’ snob forse, con quell’aurea da anima eletta può mai avere a che fare col mondo del pallone, spesso sguaiato e maleducato, di urla, calcioni, insulti, proteste, palo-gol palo-fuori, fallo vero e fallo finto e chissà forse anche arbitro cornuto? Diciamocelo, nel nostro immaginario un jazzista non suda, al massimo è avvolto dal fumo delle sue mille sigarette, difficile figurarselo in campo con la maglia appiccicata e i pantaloncini sporchi di erba o di fango a inseguire palloni o maledire un’azione, un gol fallito, un gol subito. Un jazzista è un’astrazione. E invece... Costantino Ladisa, Kosta per gli amici e ora anche per noi, musicista sassofonista, è il presidente della Nazionale Italiana Jazzisti, una Onlus che dal 2013 - anno della prima partita di beneficenza al Curi di Perugia contro la ben nota Nazionale Cantanti - a oggi ha raccolto 130 mila euro,
donati interamente alla causa scelta di volta in volta. Vivere di musica è una fortuna, riconosce Ladisa: “Sì, faccio un lavoro bellissimo, mi sento un privilegiato e quindi quando ci chiamano noi della Nazionale corriamo, è una restituzione”. Che bella parola... E’ proprio quando ci si sente fortunati che cresce il bisogno di dare un po’ della propria fortuna a chi con la fortuna è in credito, per un motivo di salute o di calamità naturale come il terremoto o come l’alluvione che in questi giorni ha devastato l’Emilia Romagna. Già fare musica è donarsi, ma non sempre basta per sentirsi parte di una comunità. E allora inventarsi calciatori per beneficenza aiuta i bisogni degli altri con un linguaggio comprensibile, vicino a tutti, e perché no realizza un sogno che appartiene a molti italiani: essere un calciatore.

FARE SQUADRA. Il reality è l’ultima avventura che i Jazzisti stanno affrontando per farsi parte di un progetto. “Iniziative come questa danno una visibilità enorme. Abbiamo raccolto l’invito del Gruppo Servier in Italia - spiega Kosta - e partecipato a “Tutti per uno” perché troviamo similitudini tra una squadra di calcio e l’aderenza alla terapia. Ascoltare il mister è come ascoltare il medico, no?”  Sì, tanto per cominciare. In realtà c’è molto altro. Come una squadra di calcio è fatta di atleti, staff tecnico, sanitario, dirigenziale, così la squadra della terapia non è solamente di pazienti, ma pure caregiver, operatori sanitari, aziende farmaceutiche e Istituzioni, per questo la fiducia e la collaborazione in entrambe le situazioni assumono un ruolo fondamentale per raggiungere il fine. E di questo si parla in “Tutti per uno”, il titolo non è casuale. Va detto che per musicisti che si esibiscono in band il concetto di squadra e di vari tipi di aderenze è chiarissimo. “Il mister ci dice delle cose e noi improvvisiamo. Claudio Piccolotto, il regista di Lillo e Greg, ci segue durante gli allenamenti - racconta Ladisa - Abbiamo sposato la sua idea e un po' improvvistao da buoni jazzisti  anche sulla sceneggiatura. Un reality così ironico è un ottimo mezzo per comunicare. C’è stata anche la partecipazione di Carolina Morace, lei è fantastica!” 


ALLENAMENTI. Il pallone e la musica si sono ritrovati a un’Umbria Jazz nel 2013, quando una partita di beneficenza ha aperto la famosa e storica kermesse perugina. “La musica e lo sport salvano. Guarda Gegè Munari, ha quasi novant’anni e suona ancora, non puoi togliergli la musica, la vita. Spesso dopo una partita ci esibiamo in concerto, insomma l’evento prevede le due cose. Quando sei sul palco si producono endorfine e adrenalina, necessarie alla tenuta di un concerto che diventa un buon allenamento per il calcio. In campo ci divertiamo, ci allena Daniele Andreozzi che ci ha preso sottobraccio e ci fa fare un lavoro bellissimo. Ma siamo stati allenati anche da Walter Novellino che ci ha dato una identità di gioco”.

SIMILITUDINI. Palco, campo, terapia sono strettamente legati quando si tratta di affrontarli. Ladisa lo spiega da musicista, ma vale per i calciatori e per i pazienti. “Sul palco servono comunicazione, aderenza alla disciplina, fiducia innanzitutto gli uni negli altri, altrimenti è caos”. Insomma, la riuscita di un concerto, di una partita o di una
terapia c'è se funziona l’insieme. 


UN PO’ DI KOSTA. Il presidente Costantino Ladisa vive nella musica da quando è nato (“mio papà ascoltava il jazz, sono cresciuto così... ma mi piacevano anche Lucio Dalla e Pino Daniele"), suona soul-funky e ammette e spera “i ragazzini ne sono affascinati. E’ vero che il pubblico del jazz è più su con l’età, ma vedo che se le nuove generazioni hanno la possibilità di approcciarsi poi gli piace, ho fiducia in loro”.

Vittime della pandemia  (“ci ha ucciso”) come molti artigiani anche i musicisti si stanno riprendendo piano piano dalle chiusure e dalla difficoltà di tornare a riempire i club. Ma Ladisa ha uno spirito libero e aperto per conquistare nuovo pubblico. Per esempio far conciliare jazz e rap si può. “Non è una novità unire diverse forme di musica. Miles Davis per esempio voleva fare un disco con Jimi Hendrix, ma non ci è mai riuscito. Il linguaggio del Jazz arriva, Achille Lauro già fa tante cose con i musicisti”.

Kosta tifa calcio di sempre. Con la NIJ si allenano all’Atletico Torrenova a Roma. Tra i calciatori che giocano o hanno giocato citiamo musicisti del calibro di Fresu e Bosso (“loro corrono, come corrono”), Gatto, Di Battista, Pietropali, Girotto, che se anche non segui quel tipo di musica questi signori li conosciamo tutti. Hanno giocato per i terremotati di Amatrice e dell’Aquila, per e con i ragazzi autistici (“cerchiamo di esserci
sempre”). Ladisa ha suonato anche tre volte a Rebibbia e quello che ha ricevuto in cambio non ha prezzo. “Alla fine di un concerto, un detenuto mi ha detto: ci hai fatto usci’ pe’ mezz’ora”. Ecco la restituzione della restituzione: la musica cancella le sbarre.

Per Ladisa fare il musicista non è solo un lavoro, ma appunto anche una fortuna perché più che "fare" è "essere"  muscista e della precarietà chi se ne frega. “E’ cosa italiana”, dopotutto. Per resistere alla precarietà però serve mantenersi un po’ bambini con l’incoscienza e i sogni. Anche il cinquasettenne Kosta sogna ancora perché sa sognare... “Un bambino per sempre. Sogno, certo, di giocare all’Olimpico o a San Siro e di suonare al Petruzzelli e al San Carlo”. Perché I sogni sono una bella terapia nella vita, per la vita, l’importante è l’aderenza ad essi e non tradirli.


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