Pagina 2 | Un anno senza Vialli e il peso dell’eredità

Un anno senza Vialli è oggi. Già questa può essere una mezza scoperta, arrivandoci di fatto già ingolfati di ricordi e apologie. Proprio così, sembra che Gianluca sia morto il 2, il 3, il 4 gennaio dell’anno scorso, perché giornali e tv ormai giocano sempre al gioco puerile a chi arriva prima, anticipando qualunque anniversario e qualsiasi ricorrenza, fra un po’ arriveremo ad avere Natale il 16 di dicembre e Ognissanti il 20 di settembre. Artifici commerciali, ansie da prestazione, complessi da primi della classe: tutto ciarpame inutile. La memoria vera è una sola e immutabilmente triste: era l’Epifania e dopo tanto soffrire, ma un soffrire eroico e valoroso, Gianluca chiuse gli occhi per fare le valigie, viaggio in prima classe verso luminose destinazioni. Che cosa resta, un anno dopo? Tutte le commemorazioni anticipate ci hanno già inondati dello struggente abbraccio col suo amichello, amico e fratello, Roberto Mancini, la volta che vinsero l’Europeo. Abbiamo rivisto l’intero suo album dei ricordi, partendo dal riccioluto e polpacciuto attaccante nella nazionale appena maggiorenne di Vicini a Italia ‘90, col trofeo in mano per la vittoria europea della sua Samp, quindi nella fase adulta in maglia Juve, infine l’estero degli orizzonti aperti, al Chelsea, nella sua Londra, da giocatore e da allenatore curiosamente british, però senza lasciare mai fuori quel cangiante italiano che lo faceva così lovely. Vittorie e sconfitte, feste e lacrime, parole e opere. Una storia uscita dallo sport ed entrata nell’umanamente indimenticabile del nostro patrimonio collettivo. Che cosa aggiungere, ancora, a questo punto? Esistono nell’etere connessioni particolari, che non sono previste nel carnet di nessun gestore, neppure tra questi impegnati ogni tre per due a sfinirci con le loro offerte irrinunciabili. Sono connessioni che non hanno bisogno di ripetitori e di satelliti, che non sono mai guastate da cadute di linea, tra suoni irreali e singhiozzi sincopati, voce che va e viene, poche tacchette e speriamo nel 5G. Sono connessioni che viaggiano sulle onde della fantasia, della memoria, della malinconia. Sfruttando una di queste connessioni a canone zero, è sempre possibile ricollegarci con chi è molto lontano, infinitamente lontano. Non servono tanti tentativi, io ho ritrovato Gianluca al primo colpo, come sempre l’ho sentito tranquillo, sereno, ottimista, saggio. Questo il testo integrale dell’intervista.


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Luca, come fu quella volta del cancro?
«Sapevo che era duro e difficile doverlo dire agli altri, alla mia famiglia. Non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene. E ti prende come un senso di vergogna, come se quel che ti è successo fosse colpa tua. Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano».

E che cosa ti senti di dire, su questa prova atroce?
«La vita è fatta per il 20% di quello che succede e l’altro 80% di come reagisci. La malattia può spingerti oltre il modo superficiale di vivere la vita. Certo non sono grato al cancro, ma non la considero una battaglia. È un compagno di viaggio. A lungo ho sperato che un giorno si stancasse lui prima di me».

Il consiglio a chi continua la corsa qui da queste parti?
«Ho cercato di insegnare ai miei figli che la felicità dipende dalla prospettiva da cui guardi la vita. Bisogna migliorarsi ogni giorno, vivere e aiutare gli altri. Non vale più la pena perdere tempo con cose che non hanno senso, non c’è tempo».


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È così difficile l’arte di vivere?
«Bisogna accettare le emozioni, anche quelle più difficili. Se non sei mai triste, come fai a capire quanto è bello essere felici?».

E agli azzurri di oggi che diresti, prima della partita?
«L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori. L’uomo che quando le cose vanno bene conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria né la sconfitta».

Lo lascio con un semplice saluto, lui risponde col solito sorriso da Gianluca, con le solite parole rassicuranti, ci risentiremo ogni volta che ci piacerà. Oggi, un anno dopo, siamo tutti qui a ricordarne soprattutto la dignità e la sobrietà. Dignitoso e sobrio, il Gianluca. Tutti ammirati da queste sue virtù. E provare anche a esserlo, qualche volta?


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Luca, come fu quella volta del cancro?
«Sapevo che era duro e difficile doverlo dire agli altri, alla mia famiglia. Non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene. E ti prende come un senso di vergogna, come se quel che ti è successo fosse colpa tua. Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano».

E che cosa ti senti di dire, su questa prova atroce?
«La vita è fatta per il 20% di quello che succede e l’altro 80% di come reagisci. La malattia può spingerti oltre il modo superficiale di vivere la vita. Certo non sono grato al cancro, ma non la considero una battaglia. È un compagno di viaggio. A lungo ho sperato che un giorno si stancasse lui prima di me».

Il consiglio a chi continua la corsa qui da queste parti?
«Ho cercato di insegnare ai miei figli che la felicità dipende dalla prospettiva da cui guardi la vita. Bisogna migliorarsi ogni giorno, vivere e aiutare gli altri. Non vale più la pena perdere tempo con cose che non hanno senso, non c’è tempo».


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