Gravina, intervista esclusiva: "Spalletti, la Serie A e le poltrone: vi dico tutto"

La crisi della Nazionale, le elezioni, i pesi delle leghe, le tensioni con una parte del governo e lo scudetto: le risposte del presidente della Figc
Giorgio Marota
10 min

ROMA - Si ricandida?, non si ricandida? E perché non ha interrotto il rapporto con Spalletti dopo il fallimento europeo? Temeva l’effetto domino? Nel calcio, a certi livelli, le scadenze le dovrebbero determinare i risultati, non i contratti. E il rapporto con Lotito, che secondo i più punterebbe a diventare l’ad del calcio italiano? E le ingerenze della politica? Curioso che Gabriele Gravina, presidente (anche) della Nazionale, trovi antipatizzanti in Forza Italia e Fratelli d’Italia. Alla faccia dell’incoraggiamento dei primi e dell’inno per i secondi... In qualsiasi caso, il presidente della Figc resta coperto: «Il mio futuro? Deciderò dopo la modifica dello statuto». Richiamando quel Rinascimento che gli è tanto caro, verrebbe quasi da dire "di doman non c’è certezza". Eppure Gravina avrebbe i numeri per essere rieletto, lo sa e non a caso lascia intendere in questa intervista che il proprio ciclo potrebbe non essere ancora concluso. Anche se i rappresentanti in consiglio della Serie A e della B stanno giocando una partita differente dalla sua dai banchi dell’opposizione.

Presidente, dopo un’estate di polemiche, si riparte.
«Il campionato lo immagino più combattuto per lo scudetto. Conte al Napoli, Thiago alla Juve e anche il Milan possono ridurre il gap con l’Inter. Italiano mi incuriosisce, la Fiorentina di Palladino ha le carte in regola per ripetere l’exploit del Bologna».

L’Atalanta contro il Real Madrid l’ha sorpresa?
«Gasperini ha onorato il nostro calcio, giocando alla pari con la corazzata di Ancelotti. La Dea è un modello perché continua a investire nei giovani italiani come dimostra l’acquisto di Brescianini».

Gli italiani però sono ancora depressi dal flop all’Europeo.
«Nemmeno io ho ancora assorbito la delusione. Però in Figc abbiamo reagito: Buffon è a tempo pieno nel Club Italia come ds, stiamo attivando la consulta dei dirigenti per creare una sinergia sempre più solida con le società e abbiamo rafforzato il lavoro delle nostre giovanili, che negli ultimi due anni ci hanno fatto esultare per i titoli europei U19 e U17, coinvolgendo in Nazionale anche il coordinatore Viscidi. Ma tutto questo non basta se non cambia la cultura dei club».

Cosa si aspetta?
«Che non disperdano il talento come sta avvenendo. In Serie A il minutaggio degli U21 italiani è del 2,8%. Gli Over 21 italiani sono al 31,6%, quelli stranieri al 63%. La Serie A deve abbassare la soglia d’età in Primavera, favorendo un numero più alto nelle liste di calciatori formati nei vivai».

Dica la verità, Spalletti ha davvero pensato di dimettersi?
«Il ct ha lavorato tutta l’estate. Io l’ho sempre sentito molto motivato. La sua sfida più grande ora sarà creare un gruppo che sopperisca col gioco e la motivazione ad alcune carenze tecniche oggettive».

Intanto il governo ha il calcio sempre in testa: l’agenzia sul controllo dei club e l’emendamento Mulé sono per lei delle invasioni di campo?
«Beh, lo sono quando mirano, anche involontariamente, a ledere l’autonomia dello sport. Io mi sono battuto per migliorare delle bozze che erano sproporzionate e inapplicabili. C’è poi una domanda che faccio a me stesso: grazie a questi provvedimenti si pensa davvero che il calcio possa risolvere i suoi problemi?».

E che risposta si dà?
«Che sarebbe stato meglio affrontare in maniera prioritaria il tema della tutela dei vivai e dei giovani, così come della creazione di un fondo per la modernizzazione degli impianti».

Come definirebbe i rapporti con Malagò?
«Ottimi. Conosco la passione con la quale interpreta il suo ruolo. Dirò di più: dovrebbe essere messo nelle condizioni per competere per il quarto mandato come presidente del Coni».

Con il ministro per lo Sport Abodi invece ci sono state parecchie tensioni.
«Fanno parte del confronto. Conosco e apprezzo Abodi da tanti anni, tanto da comprendere bene le difficoltà governative e parlamentari che incontra nel trasformare gli impegni e i progetti condivisi in atti e azioni concrete».

Abodi si aspettava un’assunzione di responsabilità dopo Italia-Svizzera.
«Narrazioni distorte. A Iserlohn, dopo l’eliminazione, mi sono assunto le responsabilità e ho tracciato un percorso. Poi non sono d’accordo con chi ritiene che la parte politica sia responsabile dei risultati sportivi».

Nessuno però ha "pagato" dopo l’ennesimo tracollo azzurro.
«I sussurri li ho ascoltati, le critiche anche. Per questo ho indetto l’assemblea elettiva. Eppure questa disponibilità è stata ribaltata, facendomi passare come uno attaccato alla poltrona. Poi ho deciso di favorire una fase costituente e lì si è iniziato a parlare di “passi indietro” del sottoscritto. Così non ci sto, non è serio. Bisogna rispettare la democrazia interna della Figc».

Si ricandiderà?
«Lo ribadisco: con la massima serenità deciderò sulla mia candidatura dopo aver modificato lo statuto, confrontandomi con le componenti come ho sempre fatto».

Secondo lei il governo vuole mettere le mani sullo sport?
«La politica ha un ruolo di supporto e di stimolo, fin quando non sconfina. Ho letto dell’interesse di esponenti politici di interferire nel percorso elettorale di base di alcune federazioni. Se fosse vero, sarebbe gravissimo. Quello che conta è il rispetto e purtroppo, negli ultimi tempi, al sottoscritto e alla Figc non è stato sempre riconosciuto».

Cosa chiede, viceversa, il calcio?
«Nelle ultime settimane abbiamo assistito anche alle Olimpiadi di chi l’ha sparata più grossa. Le nostre richieste sono nero su bianco, tra cui il prelievo sulle scommesse per creare un fondo impianti e vivai e il tax credit da riconoscere alle società virtuose».

Ci aiuti a capire: è così difficile andare d’accordo con Claudio Lotito?
«Guardate che la Lega di A non è solo Lotito: è composta da 20 società e con molte ho un rapporto ottimo. Sinceramente, non è una mia priorità. Poi scusatemi, di quale Lotito parliamo? Del presidente della Lazio, del consigliere federale o del senatore?».

La Serie A vorrebbe il professionismo rappresentato in Figc al 51% e chiede per sé stessa il 35% rispetto al 12% attuale. L’emendamento Mulé per la prima volta parla di pesi sulla base del valore economico. Si arriverà a un punto di caduta?
«Lo stare insieme è un valore solo se non c’è prevaricazione di una parte sull’altra. È giusto adeguare le rappresentanze federali, ma non si può dimenticare la forza dell’associazionismo e la cultura di un sistema dove la crescita di uno porta benefici a tutti. Se si iniziasse a ragionare di filiera tra le leghe, come in Inghilterra, le percentuali delle componenti passerebbero in secondo piano».

Da oltre 40 anni sentiamo parlare di riforma. A che punto è l’iter?
«Intanto abbiamo allineato l’Italia all’Europa, adottando criteri economici scelti dalla Uefa. Stiamo puntando al risanamento dei conti del calcio professionistico: serve una gestione più virtuosa».

La gente pensa che il calcio viva in un mondo discostato dalla realtà, con perdite fuori controllo e spese faraoniche.
«Il valore della produzione del calcio è aumentato del 24% rispetto alla stagione precedente, raggiungendo 4,3 miliardi. Tuttavia, il settore ha registrato perdite per 5 miliardi nelle ultime 5 stagioni. È urgente trovare un equilibrio tra costi e ricavi, altrimenti non c’è futuro. Ci sono però anche aspetti positivi».

Quali?
«Grazie al calcio sono stati creati 11,3 miliardi di Pil, generandone 3,3 di gettito fiscale. A questo si aggiungono le progettualità sociali che hanno un impatto straordinario sulla collettività».

Serie A a 18, playoff, riforma delle retrocessioni in B e in C. I format dei campionati sembrano scomparsi dalle agende.
«Avevo preparato un dossier molto articolato, ma la discussione si è arenata perché alcune leghe non hanno voluto rinunciare al cosiddetto diritto d’intesa. Al momento è tutto fermo, inutile girarci attorno».

Siamo nel calcio delle 80 partite l’anno e dei calendari ingestibili. C’era davvero bisogno del Mondiale per Club a luglio?
«In economia si parla di legge dell’utilità marginale decrescente: se metti troppo prodotto sul mercato, perdi di interesse. Così il calcio è inflazionato e le risorse dei diritti tv si spostano verso le competizioni internazionali a discapito di quelle nazionali. Spero che il Mondiale per Club porti benefici al sistema, ma di sicuro si gioca troppo».

Grandi tornei anziché competizioni locali: non è la logica che ha ispirato la Superlega?
«Parliamo di un torneo che di super non aveva nulla, che ha sbagliato tempi e modi imponendo un modello senza dialogo. Non mi rappresenterà mai».

Capitolo stadi: rischiamo davvero di perdere l’Europeo del 2032?
«Le regole Uefa sono chiare: entro ottobre 2026 dobbiamo indicare cinque stadi con progetti finanziati e cantierabili per l’ammodernamento o la nuova costruzione entro la prima metà dell’anno successivo. Abodi si è detto ottimista e dopo lo straordinario lavoro per l’assegnazione dell’evento all’Italia non voglio nemmeno pensare che non si arrivi pronti a queste scadenze».


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