ROMA - Basta una provocazione (e una rivelazione) di Totti per riaccendere l’entusiasmo dei tifosi, per rivedere il divertimento nei loro occhi al pensiero di qualche giocata mozzafiato, gol spettacolare o gesto istintivo che adesso è sempre più difficile ammirare sui campi di calcio, italiani e internazionali. Per questo Giovanni Branchini, tra i più influenti agenti d’Europa, dalla suggestione di Totti ha poi voluto analizzare le problematiche di un sistema calcio nazionale e internazionale che negli anni sta sfornando sempre meno campioni, sempre meno talento e fantasia, sempre meno divertimento. «Ammetto che sarebbe bello rivedere Francesco in campo, e lo sarebbe ancora di più se avessimo la certezza che la condizione potesse sostenerlo anche solo per un 50% del Totti che ricordiamo. Ci sono giocatori che giocano anche dopo i 40 anni e che sono in buonissime condizioni, mi viene in mente Pepe che ha giocato titolare nell’ultimo Europeo con il Portogallo. Fernandinho invece ha lasciato il Manchester City a 36 anni, ora ne ha 39 e il suo attuale club gli ha offerto il rinnovo per un altro anno e mezzo, e in questa stagione è stato già Mvp del campionato per cinque volte. Il fatto che ci siano tanti calciatori in età avanzata che giocano o hanno potuto giocare ai massimi livelli significa non solo che sono esempi di longevità ma anche che pochi li incalzano da dietro».
L’assenza di campioni nel calcio attuale.
«Sì, e qui si innesca un discorso che è molto più profondo e serio della provocazione di Totti. Il mondo del calcio negli ultimi 20-25 anni ha avuto un cambiamento socio-culturale per cui i bambini non giocano più liberamente ma vengono portati a scuola calcio. L’istinto e il talento, qualità che si sviluppavano in un ambito puramente ludico tra strada e oratorio, non trovano lo stesso sfogo quando vengono inquadrati. Così i bambini adesso passano da una classe di scuola al mattino a un’altra classe nel pomeriggio, quella dell’accademia calcio dove chiaramente non c’è spazio per l’incoscienza calcistica. Questo porta a dover fare i conti con realtà che sono scomparse negli anni a favore di una componente fisica e tattica che ha fagocitato tutto il resto, creando uno squilibrio importante. Ora vediamo le difese sempre più forti, le squadre sempre più attrezzate nel disinnescare le qualità degli avversari, e raramente vediamo delle individualità che molto spesso non sono considerate funzionali a un certo tipo di calcio. Vengono addirittura un po’ combattute».
Un diverso tipo di calcio, ma anche un cambiamento dello spettacolo.
«Non so quanto tempo ci metterà il pubblico prima di stancarsi del tutto. L’aspetto “vado allo stadio e mi diverto perché vedo giocare dei campioni”, è un elemento che è quasi completamente sparito. C’è troppa tattica e meno fantasia: il ragazzino che dribbla viene spesso sostituito perché fa una giocata in più. Ed è sbagliato. La gente va al campo per tifare, anche per tradizione, ma quanti sono i tifosi che vanno allo stadio per lo spettacolo?».
C’è più una “dipendenza” da calcio e da stadio rispetto al vero divertimento nel vedere una partita.
«Sì, perché ora ci sono pochissimi atleti che divertono in campo. Esiste una percentuale bassissima di improvvisazione, di talento, di istinto: di tutto ciò che non è programmabile davanti a una lavagna. Fino a qualche anno fa ne avevamo a decine. Ora sono sempre meno, e sempre meno si vedono giocate che fanno alzare in piedi il tifoso e lo fanno applaudire».
È diventato uno sport diverso?
«Senza dubbio, e personalmente credo che chi avrebbe la possibilità di intervenire, chi tira le fila di questo sport a livello mondiale e nazionale, abbia una grande responsabilità perché non si occupa di questo aspetto così serio e critico. Sarebbe un bene per tutti se facessero qualche torneo in meno e un po’ meno politica, e cercassero di pensare di più ai contenuti del calcio e ai calciatori. Oggi dov’è il Ronaldinho? Dove sono quei giocatori di fantasia e istinto che entusiasmavano con i loro colpi? E non parlo solo degli attaccanti. Pirlo aveva una qualità incredibile, così come Nesta o Aldair. Ma anche Maicon… Il calcio sta perdendo questa magia e, di fatto, anche il divertimento».
Da dove ripartire per ritrovare i campioni, la fantasia e il vero spettacolo?
«Dal divertimento dei bambini nel giocare a calcio. Il problema è del sistema. Yamal, che noi inneggiamo, non è il prodotto del calcio spagnolo ma nasce così come sono nati Messi, Maradona, Romario e tutti gli altri fenomeni. Il sistema calcio, che una volta produceva decine di questi campioni, ora giusto un paio, deve produrre anche questa tipologia di atleti. Non ci sono più i Totti, e nessuno si chiede il perché. Questo è il vero problema del calcio e di chi lo gestisce. Cosa c’è più importante dei campioni?».