Gerard Piqué, trentasette anni e altrettanti titoli, campione del mondo e d’Europa di calcio, alcune significative escursioni nel gossip, ha una spiccata sensibilità imprenditoriale e l’ambizione di produrre non un’alternativa al calcio tradizionale, bensì qualcosa di complementare e fantasioso, in grado di soddisfare i gusti della “Generazione E”. «Noi non siamo in competizione col calcio, tutt’altro» precisa. «Credo che si possano seguire entrambe le cose, la serie A, o la Liga, e la Kings League».
Sai bene che nei giovani si registra da tempo una notevole riduzione dell’attenzione verso il calcio tradizionale. Anche per questo nacque il progetto Superlega. Le nuove generazioni si orientano sempre più sugli eSports, limitando la visione delle partite di campionati e coppe agli highlights.
«La Kings League è un mix di eSports e calcio tradizionale. Noi usiamo il calcio perché sappiamo che è lo sport più seguito al mondo, ma allo stesso tempo applichiamo tante regole proprie dei videogames. L’intensità delle partite è il nostro specifico e il pubblico più giovane si sente coinvolto nel progetto. Ci sono le carte segrete, c’è un dado che lanciamo dalle tribune e se esce il due è due contro due per due minuti. La fruizione è rapida, mentre 90 minuti sono lunghi. A tanti giovani risulta difficile trascorrere ore davanti alla televisione per seguire una partita di calcio tradizionale. Noi abbiamo provato ad adattare il calcio a qualcosa di più breve, di molto più breve, ma super impegnativo, quindi due tempi di 20 minuti in cui succede tutto velocemente e si esalta la varietà di situazioni».
In fondo sei sullo stesso fronte dei superleghisti.
«Penso che i giovani siano ancora molto interessati al calcio, il fatto è che lo consumano in modo diverso. Guardano sintesi di un minuto e venti, massimo due, e ricorrono ai social, Instagram, X, Youtube per i commenti, i talk, un’intera partita la evitano».
Quando hai cominciato a studiare un’evoluzione imprenditoriale di quella che era stata la tua vita?
«Negli ultimi anni al Barça mi resi conto che guardavo sempre meno calcio in tv, allora iniziai, anzi iniziammo a pensare a come avremmo potuto creare qualcosa che potesse attrarre i giovani, coinvolgendoli maggiormente. Devo dire che abbiamo fatto centro. I creatori di contenuti e gli streamer stanno aumentando in modo esponenziale, si sono formate comunità molto ampie di fan. Ogni streamer è proprietario di una squadra col proprio logo, i propri colori. Dalla Spagna la Kings è arrivata in America, in Messico, ci sono squadre in Colombia, Perù, Cile, Argentina. Lunedì saremo a Torino per presentarla al mercato italiano. Da voi partiremo a gennaio».
Gerard, sai cosa pensa di te Mourinho?
«No, dimmi».
Che sei un furbone.
«Non so cosa significhi furbone. È un complimento?».
Non è un’offesa.
«Trascorro le mie giornate in ufficio. Mi piace l’attività imprenditoriale, provare a sfruttare le conoscenze maturate negli anni da calciatore sviluppando le connessioni e le relazioni in funzione di qualcosa di nuovo e al di fuori degli schemi. Come ti ho detto, la Kings viaggia molto bene e lunedì vedrai, vedrete tante leggende del calcio italiano coinvolte nella competizione da creatori di contenuti, Blur, Fedez e altri».
Ti avrei visto bene allenatore o dirigente e invece hai scelto un percorso parallelo.
«Magari in futuro rientrerò nel calcio facendo altre cose. In questo momento mi sento focalizzato e a mio agio. Fare l’allenatore però non mi interessa, vent’anni di routine mi hanno portato alla saturazione. Ogni giorno l’allenamento, la partita ogni tre o quattro, avevo proprio bisogno di staccare».
Sfinito anche da Guardiola?
«Un po’, sono stati tanti anni, anni di carriera in grandi club come il Manchester United e il Barça dove sei costretto a giocare ogni tre giorni e va a finire che non ne puoi più. Conservo ricordi bellissimi, ho avuto tanta fortuna e vinto tantissimo, ho realizzato il sogno di bambino, giocare al Camp Nou».
Sei l’unico Bernabéu ad aver giocato nel Barça.
«Forse sì, non credo che ci sarà un altro Bernabéu in blaugrana. Beh, anche questo rende tutto molto speciale. La mia famiglia è stata sempre legata al Barça, mio nonno, il cui cognome era Bernabéu, faceva parte del club. È stato dirigente per venticinque anni, il primo Bernabéu culè».
Cos’ha di tanto speciale il Barcellona?
«È un club a parte. Molto diverso da tutti gli altri club del mondo, e non solo perché la proprietà è divisa per 140mila, i soci. Milan, Inter, Juve, United, Chelsea, City, PSG o Bayern appartengono solo virtualmente ai tifosi, il Barça quasi fisicamente. L’obiettivo di tutti noi è mantenere questa unicità, nonostante in questo periodo non ce la passiamo bene finanziariamente, e trasmettere il senso di appartenenza».
Hai fatto parte di una generazione di fuoriclasse. Toglimi una curiosità: avete dato più voi a Guardiola o lui a voi?
«Avevamo quote di talento incredibili. Ma l’aspetto più straordinario di quel periodo è proprio la combinazione con Pep. Arrivammo praticamente insieme al Barça, io giocatore, lui in panchina. C’erano Messi, Xavi, Iniesta, Puyol, Busquets, eravamo fatti in casa, figli della Masia. Ci conoscevamo da sempre, l’intesa è risultata naturale, altrettanto facile seguire il modello di Pep».
Com’è lui da dentro?
«Penso che a livello tattico e strategico sia un genio, sa leggere la partita, prevedere come andrà a finire, ti dà tutti gli strumenti necessari per poter contrattaccare o difendere. E poi...».
E poi?
«Nella trasmissione del messaggio motivazionale è inarrivabile, e riesce a mantenere alta e costante l’attenzione del gruppo anche per più anni. Era complicatissimo, in uno spogliatoio di così alta qualità e che aveva vinto tanto, garantire lo stesso livello prestazionale, lui cambiava addirittura linguaggio».
Del passato cosa conservi?
«I trofei sono solo oggetti di metallo. Ho una casa piena di coppe e medaglie, ma non do importanza a quelle. Ho invece ben presenti e vive le emozioni, i sacrifici fatti per vincere e ripetersi. Mi piace pensare che abbiamo fatto felice tanta gente».
Più forte tu o Sergio Ramos?
«In palestra, Sergio».
Qual è il giocatore che ti ha più stupito?
«Messi è sempre stato diverso dagli altri. Cristiano il migliore degli umani, ma Leo un alieno, non appartiene a questo pianeta. L’ho visto allenarsi ogni giorno facendo cose incredibili, non ci sarà mai più uno con la sua velocità di pensiero e la stessa determinazione. Arrivò a 13 anni, ha giocato assolutamente allo stesso modo sia con le giovanili del Barça sia con la prima squadra».
Sei mai stato cercato da un club Italiano?
«L’ultimo anno a Manchester, prima di andare al Barça, stavo per passare alla Juventus. Tornato a casa, non ho più avuto tentazioni. Era il 2007».
Allo United non avesti molto spazio.
«Sono stato lì tre anni, sono arrivato che ne avevo diciassette, ero molto giovane, in quel periodo lo United presentava la migliore coppia di centrali della Premier, Río Ferdinand e Vidic. Abbiamo vinto la Champions e la Premier. Con lo United ho giocato 20 e 25 partite».
Se tra cinque anni la Kings League supererà il calcio tradizionale, Florentino ti inseguirà con un forcone?
«Florentino è molto potente, ha le sue battaglie, i suoi antagonisti, la sua Superlega ancora viva. Noi della Kings League stiamo crescendo poco a poco. Non so dove saremo tra cinque anni, ma posso garantire che le dedicheremo tutto l’affetto, tutta l’attenzione, tutto l’amore per aiutarla a conquistare ogni Paese in cui andremo. L’Italia è il prossimo».
PS. La direzione si scusa per non aver affrontato con Gerard Piqué un argomento caro ai gossip addicted e un po’ meno a questo giornale.