Biancolino, l'intervista: "Avevo promesso l'Avellino in Serie B a mio papà"

L'allenatore si racconta: "È un regalo per lui. Ora non c'è più, ma per me ha fatto sacrifici enormi e mi ha sempre spronato"
Biancolino, l'intervista: "Avevo promesso l'Avellino in Serie B a mio papà"
Leondino Pescatore

In quanti avrebbero detto che Raffaele Biancolino sarebbe stato capace di portare in Serie B quell’Avellino terz’ultimo in classifica che in 5 gare aveva perduto due volte e raccolto 3 pareggi? Nessuno avrebbe immaginato che, proprio lui, esordiente in Lega Pro, avrebbe vinto il campionato rispetto a colleghi che avevano fallito l’impresa (Ignoffo, Capuano, Braglia, Gautieri, Taurino, Rastelli e Pazienza), tutti inevitabilmente licenziati.  

Se l’aspettava? 
«Potrei apparire borioso ma può confermarlo chi è sempre stato al mio fianco: la notte che mi affidarono l’Avellino, ero sicuro di riportarlo in Serie B. Avevo una immensa forza dentro, qualcosa di superiore». 

Legato a quel braccialetto al polso? 
«Lo bacio prima e dopo ogni partita. Ora posso svelarlo, è impressa l’immagine della Madonna di Montevergine, le sono devoto fin da bambino, ci parlo tutti i giorni. È una fede che mi porta da lontano, è sempre con me».  

Non può essere solo questo ad averla aiutato a fare risultati. 
«Conoscevo bene i giocatori, lavorando con la Primavera vedevo che alcune cose non andavano». 

Ha reso vincente una squadra svogliata e triste. 
«Pochi interventi e anche semplici, dapprima parlando ai giocatori come se fossi uno di loro pretendendo tanto sacrificio nel lavoro». 

Un sergente di ferro più che uno di loro. 
«Con me niente gerarchie, ho dato subito spazio ai baby della Primavera e priorità a chi era più motivato, in forma e con maggiore fame rispetto agli altri che si sono gradualmente adeguati». 

Ha fatto gruppo, insomma. 
«Merito pure di due collaboratori, Vincenzo Riccio e Pasquale Visconti, motivatori incredibili, capaci di creare entusiasmo e positività, pungolando, ascoltando tanto».  

Una gestione democratica. 
«Ho dato piena fiducia, chiedendo a ciascuno di esprimersi secondo le proprie potenzialità, con la mente sgombra, senza il timore di sbagliare, tanto ci avrebbero egualmente tormentato con le critiche». 

Che non sono mancate... 
«Abbiamo sconfitto pure quelle, siamo felici e vincenti, sul nostro carro c’è posto per tutti». 


© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Calcio

Esordiente con l’unica esperienza alla guida della prima squadra il 17 ottobre 2022 (sconfitta 2-0 sul campo della Viterbese), pensava di fare ancora da traghettatore.  
«I soliti esperti e tanti leoni da tastiera esprimevano scetticismo nei miei confronti, invocando l’arrivo di un tecnico di nome con esperienza maggiore».  

Un pareggio sul campo della Turris, la vittoria contro il Foggia, poi quella di Crotone e altre quattro ancora. 
«Sapevo che solo le vittorie potevano farmi continuare a guidare l’Avellino».  

Quando ha capito di potere vincere il campionato? 

«Con il gol del pareggio sul campo del Cerignola, firmato nel recupero da De Cristofaro, ex di turno, evitando la fuga di quella che era la capolista. Un altro segnale, come i tanti ricevuti in questi mesi». 

Come ha vissuto questa promozione? 

«Abbiamo festeggiato coi tifosi fino alle prime luci dell’alba, poi sono tornato a Montevergine per ringraziare la Madonna, ero andato due ore prima dell'allenamento con la prima squadra, per invocare un sostegno di cui avevo bisogno, puntualmente arrivato». 

Ringraziamenti particolari? 
«A mia moglie Mary, con cui ho condiviso amarezze e delusioni ricevendo sostegno e incoraggiamento, poi i miei figli Diego e gli altri due che studiano a New York, Giovanna e Vincenzo che porta il nome di mio padre». 

Al suo papà aveva fatto una promessa, vero? 
«Per me ha fatto sacrifici enormi, mi ha sempre sostenuto e spronato. Dopo le quattro promozioni con l'Avellino, gli promisi che qui avrei vinto pure da allenatore». 

E’ stato di parola. 
«Gli ho portato i fiori al cimitero. Non ha avuto il tempo per vedermi felice, ma l'ho sentito costantemente vicino». 

Lei è molto legato alla famiglia. 
«Per me è tutto ma sono capace di leg armi pure agli estranei, in modo sincero, fino a quando non ricevo delusioni». 

Quali le più cocenti? 
«Una su tutte, il 18 dicembre 2013, Juventus Stadium gara di Coppa Italia, ero in panchina mentre l’Avellino perdeva 3-0. Avevo 36 anni, al tramonto della carriera di attaccante, in tribuna tutta la mia famiglia in attesa di vedermi entrare in campo, sarebbe stato bello chiudere la carriera con quella soddisfazione. Dall'allenatore aspettavo un segnale che non arrivò». 

Allenatore, chi era? 
«Rastelli». 

Che è tornato tre anni fa ad Avellino per vincere il campionato, poi esonerato.  
«Ed invece l'Avellino in B l'ho portato io». 


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In quanti avrebbero detto che Raffaele Biancolino sarebbe stato capace di portare in Serie B quell’Avellino terz’ultimo in classifica che in 5 gare aveva perduto due volte e raccolto 3 pareggi? Nessuno avrebbe immaginato che, proprio lui, esordiente in Lega Pro, avrebbe vinto il campionato rispetto a colleghi che avevano fallito l’impresa (Ignoffo, Capuano, Braglia, Gautieri, Taurino, Rastelli e Pazienza), tutti inevitabilmente licenziati.  

Se l’aspettava? 
«Potrei apparire borioso ma può confermarlo chi è sempre stato al mio fianco: la notte che mi affidarono l’Avellino, ero sicuro di riportarlo in Serie B. Avevo una immensa forza dentro, qualcosa di superiore». 

Legato a quel braccialetto al polso? 
«Lo bacio prima e dopo ogni partita. Ora posso svelarlo, è impressa l’immagine della Madonna di Montevergine, le sono devoto fin da bambino, ci parlo tutti i giorni. È una fede che mi porta da lontano, è sempre con me».  

Non può essere solo questo ad averla aiutato a fare risultati. 
«Conoscevo bene i giocatori, lavorando con la Primavera vedevo che alcune cose non andavano». 

Ha reso vincente una squadra svogliata e triste. 
«Pochi interventi e anche semplici, dapprima parlando ai giocatori come se fossi uno di loro pretendendo tanto sacrificio nel lavoro». 

Un sergente di ferro più che uno di loro. 
«Con me niente gerarchie, ho dato subito spazio ai baby della Primavera e priorità a chi era più motivato, in forma e con maggiore fame rispetto agli altri che si sono gradualmente adeguati». 

Ha fatto gruppo, insomma. 
«Merito pure di due collaboratori, Vincenzo Riccio e Pasquale Visconti, motivatori incredibili, capaci di creare entusiasmo e positività, pungolando, ascoltando tanto».  

Una gestione democratica. 
«Ho dato piena fiducia, chiedendo a ciascuno di esprimersi secondo le proprie potenzialità, con la mente sgombra, senza il timore di sbagliare, tanto ci avrebbero egualmente tormentato con le critiche». 

Che non sono mancate... 
«Abbiamo sconfitto pure quelle, siamo felici e vincenti, sul nostro carro c’è posto per tutti». 


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