La confessione di De Zerbi: "Non sono mai contento, non so per quanto allenerò ancora. Marsiglia come Foggia"

Il tecnico bresciano ha svelato una serie di retroscena nel corso di un'intervista a Il Corriere della Sera e ha ammesso: "Sono contento per Gasperini, tifo un po' per lui"

"Faccio fatica a godermi qualsiasi cosa, non sono mai contento. Allenare mi piace tanto, l’ultimo mese è stato uno dei periodi in cui mi sono divertito di più, ma bisogna capire quanto potrò allenare ancora. Come lavoro è pesante, Klopp ha ragione". Così Roberto De Zerbi nel corso di un'intervista in esclusiva a Il Corriere della Sera. Il tecnico bresciano ha spiegato: "Io nel calcio non devo starci per forza. Ma ci voglio stare a modo mio, ad esempio riuscendo a tirare sempre fuori le qualità dei giocatori. Marsiglia per me è speciale come Foggia dieci anni fa: il modo di vivere il calcio è uguale ed è quello che si addice a me. Non so se io sono l’allenatore ideale per loro, ma Marsiglia è il posto ideale per me, per il valore che dà al calcio: tutte le contraddizioni sociali vengono dimenticate per 90 minuti. Lo percepisci".


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De Zerbi, una vita nel calcio: "Per me non è mai stato solo divertimento"

De Zerbi ha parlato in maniera approfondita del suo rapporto con il calcio e della sua vita nel calcio: "C’è un momento preciso della mia vita dove inizio a fare calcio per sistemare la mia famiglia. Passo dall’oratorio al Lumezzane e poi al Milan, fra il 1992 e il 1994, in coincidenza con la crisi economica in casa: siamo costretti a vendere la fabbrica di tappetini e passiamo anni molto difficili. A quel punto non scherzavo più. Uscito dalla Primavera, il giorno dopo la firma del primo quinquennale col Milan, ero in filiale a firmare il mutuo per comprare la casa ai miei genitori. Il calcio per me non è mai stato solo divertimento. Ho fatto gli ultimi anni di carriera in Romania, lontano dalla famiglia. Poi ho iniziato ad allenare e mi sono perso l’infanzia e l’adolescenza dei miei figli. Con i giocatori e lo staff cerco un rapporto: se oltre a rispetto e stima c’è anche l’affetto è un mix esplosivo. Cerco una connessione, anche con l’ambiente".

De Zerbi: "Contento per Gasperini, un po' tifo per lui"

De Zerbi ha inoltra raccontato: "Il settore giovanile del Milan era una scuola. Maldini, Baresi, Tassotti e tutti quei grandi giocatori mi hanno insegnato l’etica nel calcio, il valore dell’allenamento, il fatto di allenarti più forte dopo una vittoria, il rispetto dentro a un gruppo, a partire dagli orari. Io mi sento un figlio di Milanello, del Milan, quello vero. Ho buona autostima, ma mi sento a disagio perché 10 anni fa ero in D e non mi vedo come vedono gli altri. Di sicuro ho sempre avuto le idee chiare su come volevo che la mia squadra stesse in campo. C’è chi mi ama, chi mi odia e non sono predisposto a farmi capire e conoscere da tutti. Ma il calcio ha preso una direzione del gioco di un certo tipo. Mi manca l'Italia? Sì, sono italiano e seguo tantissimo il campionato. Ma sto bene anche all’estero. Sono contento per Gasperini, che all’Inter pagò colpe non sue: un po’ tifo per lui, perché gli avevano dato l’etichetta che non poteva sedersi su una grande panchina. E invece può stare ovunque. Il Napoli è più che vivo, l’Inter è forse ancora la più forte, il Milan sta giocando bene. È bello vedere tanta competitività".


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"Faccio fatica a godermi qualsiasi cosa, non sono mai contento. Allenare mi piace tanto, l’ultimo mese è stato uno dei periodi in cui mi sono divertito di più, ma bisogna capire quanto potrò allenare ancora. Come lavoro è pesante, Klopp ha ragione". Così Roberto De Zerbi nel corso di un'intervista in esclusiva a Il Corriere della Sera. Il tecnico bresciano ha spiegato: "Io nel calcio non devo starci per forza. Ma ci voglio stare a modo mio, ad esempio riuscendo a tirare sempre fuori le qualità dei giocatori. Marsiglia per me è speciale come Foggia dieci anni fa: il modo di vivere il calcio è uguale ed è quello che si addice a me. Non so se io sono l’allenatore ideale per loro, ma Marsiglia è il posto ideale per me, per il valore che dà al calcio: tutte le contraddizioni sociali vengono dimenticate per 90 minuti. Lo percepisci".


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