Iniesta esclusivo: "Vi racconto il mio brutto ricordo con la Juve. E su Ibra..."

Considerato il più forte centrocampista del terzo millennio e tra i primi di sempre, si è raccontato in un docufilm e in questa intervista a distanza: "Guardiola il migliore di tutti"
Iniesta esclusivo: "Vi racconto il mio brutto ricordo con la Juve. E su Ibra..."© AFPS
Ivan Zazzaroni
8 min

Senza Iniesta è meno Barça. Anche se il primo a non esserne convinto è proprio lui, l’Illusionista. Per Andrés il Barcellona è sogni, ideali, destini, personali e collettivi, sfida, un’identità continuamente riaffermata. In poco tempo Iniesta è diventato un’iperbole, il centrocampista nella sua espressione più alta, mai un tocco fuori posto, il controllo del gioco, del campo e delle idee esercitato dal primo all’ultimo minuto. Un giorno chiesi a Roberto Baggio di indicarmi il migliore del mondo là in mezzo. Impiegò meno di un secondo per rispondere «Iniesta e Xavi, avrei pagato per giocare insieme a quei due». Iniesta protagonista della storia del calcio e di un docufilm di oltre un’ora, “L’eroe inaspettato”, scritto da Marcos Lòpez, nel quale si racconta e si lascia raccontare: una galleria di grandi interpreti a disposizione sua e di Rakuten Tv, la piattaforma on-demand che è sponsor del club catalano. Da Messi e Neymar, Suarez, Guardiola e Xavi solo carezze. «Bello che parlino bene di me, a questo fi lm hanno partecipato molte persone che mi sono care, familiari, amici, campioni, è stato un piacere aver condiviso con loro tantissime cose a livello personale e sportivo». A trentasei anni Andrés gioca ancora, mette alla prova il suo fisico minuto e il carattere d’acciaio in Giappone, è l’icona del Vissel Kobe. Campo e famiglia, lunghe passeggiate con i quattro figli, i giovani giapponesi che lo venerano oltre ogni imbarazzo.

Stagioni indimenticabili: tu, Xavi, Busquets, Puyol, Piqué, Abidal, ovviamente Messi. Quale, il segreto mai rivelato di quella squadra? La grande qualità, d’accordo. E poi?

«In un gioco di squadra devono esserci più cose. Guardiola, allenatore spettacolare in tutti i sensi, una generazione di calciatori cresciuti insieme con lo stesso modo di giocare e soprattutto il talento. Io credo che il talento di chi hai citato fosse sensazionale. Però mi piace mettere il Barça al di sopra di tutto e tutti. In futuro perderà, vincerà, ma proverà sempre a trasmettere e affermare la sua identità».

Tanti hanno provato a imitarvi.

«Credo che ogni scenario, ogni campionato abbia caratteristiche proprie. È diverso in Spagna, in Italia, in Germania: ci sono giocatori differenti e differenti stili di gioco. Di solito, poi, le squadre prendono la forma voluta dall’allenatore. Se lavorasse in India o in altri Paesi, Guardiola proverebbe sempre a trasmettere la stessa idea di calcio. I cambiamenti che ha imposto a Manchester non hanno tradito la sua impostazione mentale».

Luis Enrique ha detto che in campo avevi, hai 4 occhi.

«Le mie qualità e il mio talento sono questi, mi piace avere tutto in testa, pensare prima di ricevere il pallone, sapere dove si trova il compagno di squadra, dove l’avversario, e provo a sfruttare al massimo queste doti. Anticipo mentalmente la giocata. Sono stato tutta la vita nel Barça, che è l’ideale per come si gioca e ci si allena. Mi ha aiutato molto, sono stato a lungo in mezzo ai migliori».

In sedici anni non hai mai pensato di cambiare?

«Quando uno è felice in un posto, si sente amato, importante, non ha un solo motivo per andarsene. Lasciai il mio paese (Fuentealbilla, provincia di Albacete, nda) per Barcellona quando avevo dodici anni, fu dura, davvero difficile quel passo, ma il mio unico obiettivo era trionfare nel Barça e giocare coi migliori. È stata una vita da film in un solo club e nell’élite del calcio».

Da anni proviamo a raccontare Messi. Dacci una mano anche tu.

«Si sono dette tante cose di Leo, per me è il numero 1 perché ha tutto: passaggio, assist, senso della squadra, dribbling, gol, riesce a essere determinante praticamente in tutte le partite, e da anni. Non ho mai visto un giocatore così decisivo e forte».

Se Messi è il numero 1, Cristiano è il 2?

«Leo è differente, inarrivabile. Poi ognuno ha i propri gusti: ci piace fare confronti, ma per me non sono paragonabili. Anche se segnano praticamente lo stesso numero di gol».

Nell’unica stagione di Ibra a Barcellona si disse che andò in contrasto con lui.

«Nient’affatto. Ibra è compatibile con qualsiasi tipo di calcio e qualsiasi compagno di squadra. Un giocatore come lui non può essere che un valore aggiunto, è uno dei calciatori più importanti al mondo. La sua esperienza a Barcellona non fu facile, però aver condiviso con lui lo spogliatoio sarà per sempre un grandissimo ricordo».

Certo che con centrocampisti come voi difendere era più facile.

«Quando ci giravamo avvertivamo tanta tranquillità. Vedere Puyol, Piqué, Abidal, Mascherano, Dani Alves è rassicurante. Stiamo parlando del Barça, dei migliori giocatori del mondo. È pur vero che con quella squadra in quel periodo difendevamo molto con il pallone tra i piedi. Se l’avversario ce l’aveva di meno, si limitava la sua pericolosità».

Hai affrontato tante volte le italiane in Champions. 

«Contro le italiane ci sono stati momenti di felicità e momenti di tristezza, come nei quarti di Champions con la Juve, nel 2017. Ho affrontato Milan, Inter, ma contro la Juve abbiamo completato anche il secondo triplete. Ho avuto il piacere di giocare in stadi meravigliosi in Italia e di affrontarvi con la nazionale spagnola. Sempre grandi partite».

Vincevate quasi sempre voi.

«Ho un ricordo molto brutto dell’Europeo del 2016, l’Italia giocò una gran partita, molto meglio di noi e ci eliminò».

Singolare la scelta di chiudere in Giappone.

«Una delle condizioni che mi ero posto era quella di non dover affrontare il Barça. Giocare in un’altra squadra europea non avrebbe avuto senso. Andai via perché avevo capito di aver dato tutto al club che aveva riposto in me tanta fiducia. Avevo voglia di provare un calcio diverso in un Paese diverso, desideravo continuare a imparare e crescere come calciatore, al di là del fatto che stia vivendo un’esperienza familiare che sarà importante soprattutto per i miei figli… Proverò a fare l’allenatore, dopo. Però manca ancora un po’, mi sento bene, sono felice, voglio giocare ancora e questo campionato mi ha sorpreso, è molto competitivo».

Come hai vissuto la sospensione per la pandemia?

«Con molta preoccupazione, soprattutto pensando alla Spagna dove vivono la famiglia di mia moglie, la mia, gli amici. Qui in Giappone è stato tutto molto tranquillo, niente a che vedere con quello che avete vissuto voi. La situazione è stata sempre sotto controllo, fino a pochi giorni fa. Qualcosa sta cambiando, purtroppo».

Nel film è molto divertente il passaggio dell’incontro con tua moglie.

«Una coincidenza e una sorpresa. La verità è che dal giorno in cui l’ho vista mi sono innamorato. Siamo insieme da tredici anni, bambini e bambine per casa, sono felice con lei».

Qual è stato l’avversario più difficile?

«Ricordo il periodo in cui sfidavamo il Real Madrid di Mourinho. I Clasicos erano davvero complicati, ogni volta una battaglia. Mourinho non lo conosco personalmente, non so come lavori, non mi ha mai allenato. Non posso negare che sia un grande allenatore».


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