Vendesi Barça (telefonare ore pasti)

Vendesi Barça (telefonare ore pasti)© EPA
Ivan Zazzaroni
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Le utopie calcistiche nel loro piccolo portano sfiga. Ripenso con malinconia a quando, non troppi mesi fa, qualcuno titolava “L’Inter su Messi”. Più o meno nello stesso periodo Lautaro era dato a un passo dal Barcellona, pronto a versare entro luglio i centoundici milioni della clausola. Bei tempi quando anche le cazzate di mercato avevano una ragion d’essere, una spiegazione accettabile, nel desiderio/volontà di stupire, stimolare e emozionare il tifoso-lettore.

Brutti tempi e un brutto mondo, invece, questo. Oggi l’Inter insegue un compratore, visto che gli investitori pronti a mettere 2-300 milioni per non contare una mazza frequentano solo il mondo di Andersen (lo stesso di Eriksen), e tratta con i fondi qatarioti e inglesi. La stessa cosa - ma ancor più stupefacente - fa il Barcellona, a corto di liquidità e a caccia di fondi disposti ad acquistare almeno una fetta del club. Bloomberg, che ha visionato la bozza della proposta inviata a potenziali acquirenti, riferisce che il Barcellona cederebbe una quota tra il 30 e il 49% - advisor dell’accordo, Goldman Sachs (attendo smentite). Si tratterebbe della prima volta nella storia di un club totalmente di proprietà dei soci. Secondo il documento - lo riferisce l’Ansa - il Covid ha aperto una voragine nei conti: il debito è raddoppiato a quasi 500 milioni (488) mentre nel 2020 i ricavi sono calati di oltre 200 milioni.

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La pandemia che devasta la nostra vita sta cambiando il calcio, probabilmente in meglio però: lo costringe a rendersi non dico etico, ma sostenibile. In effetti dubito che nei prossimi mesi sentiremo parlare di stipendi da 10, 20, 30 milioni o di trasferimenti da 100. Più probabile che prevalgano termini e pratiche come riduzione, taglio, in particolare degli stipendi dei calciatori. Nell’intervista rilasciata ieri al nostro Alessandro Barbano, il presidente uscente - e presto rientrante - della federcalcio Gabriele Gravina è stato semplice, chiaro e efficace: «Se io faccio con te un accordo basato su un’ipotesi di profitto, e poi il profitto viene meno perché perdo 600 milioni di euro a causa del Covid, quell’accordo è impossibile» ha detto. «Perciò va adeguato alla nuova realtà. Ora si tratta di evitare uno scontro di fronte a un collegio arbitrale. Con un po’ di sensibilità. Come stanno facendo molte aziende con i loro dipendenti. Il calcio deve fare sua questa consapevolezza». Frasi che hanno riscosso un notevole successo soprattutto ai piani alti di Sky, Dazn e Img.

Ho tuttavia il sospetto che molti protagonisti della nostra (comunque) festa settimanale non abbiano idea di cosa sia stato il calcio italiano quand’era definito il più grande spettacolo del mondo non per quel che spendeva, ma per quel che mostrava. Giocatori e dirigenti si sono attribuiti valori già fuor di logica e oggi fuori di mercato. A costoro - appena sarà restituita la possibilità di seguire corsi d’aggiornamento in presenza o in remoto - bisognerebbe trasmettere le vite e le opere dei campioni d’antàn che conquistavano il mondo, non la ricchezza. Chi ha conosciuto Di Stefano, Pelé, Sivori, Rivera e tanti altri sa che erano diventati appena benestanti. Di Maradona si scoprirà che ha lasciato più debiti che quattrini, avendo incassato molto meno di Higuaín. Giorni fa Sandro Mazzola ha aperto il cuore a un’insolita intervista senza imbarazzi, raccontando le difficoltà - più delle opportunità - incontrate come figlio di Valentino, eppoi le fatiche della crescita, le problematiche del successo, le difficoltà del declino. Senza ricchezza.

A questo può servire la sciagurata stagione di morte, crisi e paura che stiamo affrontando: a ricordarci una verità più generale, ad arricchire le coscienze. E la cultura che spesso spaventa più del virus.


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