Grilli: Il calcio è patrimonio umano. E io spero che non svanisca tutto

La ct dell'Under17 femminile, appena qualificata alla Fase Elite dell'Europeo, si racconta. Da Perugia a Milano passando sempre per il calcio. "Crescere impone il cambiamento, non si torna indietro. Le mie bimbe sono state straordinarie. Con le donne devi saper allenare la sfera emotiva. Gli uomini? Diffidano delle donne che sanno di calcio. Per non smettere di sognare ho dovuto lavorare"
Grilli: Il calcio è patrimonio umano. E io spero che non svanisca tutto
di Valeria Ancione
10 min

Bracciali tanti, orecchini pure, collana, orologio grosso su piccolo polso; spalle strette e collo lungo; occhi chiari e limpidi, gesti morbidi di mani sottili; gli anni quasi tanti, 59 il 25 novembre, praticamente sessanta tra dodici mesi e chi se ne frega. «Non ho mai dato peso agli anni che ho». L’età è una convenzione, concordiamo. Nazzarena Grilli: donna, nubile, sentimentalmente impegnata con il calcio, impiegata per vivere, allenatrice per passione, responsabile tecnico della Nazionale Under 17 femminile. Appena tornata dalle qualificazioni alla fase Elite degli Europei. Qualificata, ovviamente, ma non era scontato.

UN CALCIO PURO. «Spero che non si perda lo spirito del calcio femminile. Che resti puro, passionario, vero». Non ha bisogno di domande Nazzarena. Ha preso in mano l’Under 17, dopo essere stata vice di Migliorini all’Europeo della scorsa primavera, ma anche dopo l’U.16 e l'U.23 e dopo ventitré anni su panchine di club: sta dove deve stare, insomma. Lei come le colleghe Bertolini, Morace, Bavagnoli, Guarino, Panico, pioniere, in un certo modo, del calcio femminile, non perché lo hanno scoperto, ma di certo per averlo sdoganato, per essersi ostinate a dargli un ruolo e a darselo. Perché il calcio tutto, di ogni livello e genere, è un gioco e coi gochi non si scherza. «Ho fatto sacrifici enormi. Me lo merito tutto questo. Tutte ce lo meritiamo». Nazzarena è umbra, con un accento mistificato da una timida cadenza milanese, ha iniziato a giocare negli anni Settanta, figurarsi... I genitori facevano avanti e indietro da Città di Castello a Perugia per portarla agli allenamenti. Dopo i calci all’oratorio, il primo campionato di sole femmine per Grilli è nel 1974. Vent’anni dopo, nel 1994, il ritiro dai campi.

LA FINE E L’INIZIO. Vent’anni in giro per l’Italia a prender scudetti e coppe. In mezzo la Nazionale con il ct Guenza, tra gli indimeticabili allenatori per molte azzurre. «Ho smesso a 34 anni, quando ho capito che non arrivavo più sulla palla. E mi hanno chiamato a Segrate, una squadra allo sbando. Ho fatto subito il corso per il patentino da allenatore e dalla serie D siamo arrivate in A». E' come vederla l’emozione che ci racconta. Un’emozione così viva che prende forma e la si può toccare, accarezzare. «La cosa che mi rende più orgogliosa è che quel gruppo sia rimasto in contatto. Per me il calcio è questo: patrimonio umano. Ed è la mia vita, è passione nel fare le cose, nello stare in mezzo alla gente, condivisione, emozioni. E non mi stanca mai. Ho quasi paura che possa svanire tutto questo. Ma non si può tornare indietro. Il calcio femminile sta crescendo e la crescita impone il cambiamento. Si è avviato da tempo un percorso di maturazione, fisico, atletico, tattico importante. Le nuove generazioni sono ricche, c’è una bella scelta. Noi stiamo infatti riuscendo ad allestire un bel gruppo. Spero che queste ragazze possano raggiungere quello per cui noi abbiamo lottato. Il calcio femminile può solo andare avanti ormai e la Uefa sarà la salvezza e il garante».

IL SUO EUROPEO. Da vice a primo coach di una Nazionale serbatoio di quella maggiore. Reduce dall’Europeo della scorsa primavera, durato pochissimo, ci riprova. «In quell’Europeo è mancato l’agonismo. L’agonismo ti porta a esprimere forza atletica e mentale, ti convince che ce la puoi fare, ti spinge a farcela. Siamo fiduciosi per la nuova avventura. Le ragazze hanno un buona scuola alle spalle, sono straordinarie, apprendono subito, vedono l’errore e lo correggono. Spero di trasmettere loro non solo tattica, ma anche un atteggiamento, un comportamento consoni alla maturità che stanno raggiungendo. Le risposte già le ho. Vedeste come lasciano gli spogliatoi... Brave in tutto, anche nel dosare il divertimento e la serietà». Spogliatoi puliti a parte, l’altra risposta immediata è stata la qualificazione alla fase Elite che si giocherà in primavera e che selezionerà le nazionali per la fase finale dell’Europeo (a maggio in Bulgaria ndr). «Le mie bimbe sono state superlative», dice la ct dopo aver vinto tre partite su tre di qualficazione ed essere tornata a Milano a lavorare, altro che vacanza.

IL CALCIO NEL DNA. Ci vuole fortuna a diventare calciatori. Ma Nazzarena “calciatore” ci è praticamente nata. Ai suoi tempi quasi nemmeno si declinava al femminile. «Ho due sorelle e un fratello. Allo stadio il mio babbo ci portava lui, che del calcio non gli importava niente. Io sì che ci volevo andare invece. Una volta però mi accompagnò a vedere una partita della Nazionale femminile e lì ho esclamato “ah beh se giocano così posso farlo anche io”. E l'ho fatto: a 14 anni ho esordito in serie A. La mia fortuna è stata avere genitori come i miei, incredibili, mi hanno accompagnato sempre e hanno creduto in me. Mi hanno lasciato fare, anche quando c’era da attraversare il Pantano per tornare da Ellera, e non era un bel posto di notte». Centrocampista centrale, si capisce. Una che del gioco deve sentirne il polso. «E’ una zona dove fai la regia e diventi punto di riferimento per le compagne. A me poi piaceva indietreggiare per vedere tutto il campo».

L’UNA E L’ALTRA. Nazzarena Grilli è una e doppia. Per poter realizzare il sogno e vivere senza sosta ma felice, ha dovuto accettare il compromesso: lavorare. Il calcio paga poco, non dà contributi, né malattia, dura un anno, due, la precarietà è alla base. Oggi le cose sono avviate verso un cambiamento, ma venticinque anni fa non c’era proprio nessuna aria di cambiamento, semmai ci si avviava verso un lungo periodo di buio, basti pensare che la Nazionale non va ai Mondiali dal 1999. Nazzarena ha trovato un lavoro con cui ha messo a tacere la paura dell’incertezza e si è goduta tutto il resto. Come? Svegliandosi alle 5 del mattino e andando a letto all’una di notte. "Pendolando" per questo amore anche lungo cento chilometri, la sera tardi, al freddo e al gelo. Nazzarena dalla doppia vita, lavoro e poi allenamenti: da Milano a Como, a Brescia, a Mozzanica. Dal 1974 i suoi week end parlano una sola lingua, ma davvero ancora non si è stufata? «No - sorride con la faccia, con gli occhi, coi denti bianchi, coi capelli che accarezza continuamente - Mi alzo all’alba e vado al lavoro. Studio e preparo gli allenamenti, non arrivo mai impreparata. Devo ringraziare la mia datrice di lavoro che mi concede questa “libertà”. Ma se non mi fosse possibile di fare l’uno e l’altro, oggi per l’Under17 lascerei il lavoro, è troppo bello e importante per me quello che sto facendo in Nazionale. Certo, senza lavoro non sarei andata da nessuna parte. Volevo vivere il calcio avendo tutto, e se ce l’ho fatta è grazie al mio lavoro».

CE L'ABBIAMO FATTA. C’è una bella aria in questa “primavera” del calcio femminile, c’è voglia di fare e farlo insieme. «In un anno è cambiato tutto, l’atmosfera è bellissima. Tra colleghi c’è un confronto continuo. Con Milena (Bertolini ct dell'Italia maggiore, ndr) c’è complicità. Incrociamo gli sguardi e senza parlare ci diciamo “ce l’abbiamo fatta”. La collaborazione con i club è fondamentale perché questo sport spicchi il volo. Sono più forti le altre nazioni? Vedremo. Perché ora che ci sarà permesso di lavorare da professioniste dimostreremo quanto siamo forti anche noi. Per migliorare bisogna essere giocatrici a 360 gradi, dagli allenamenti alla nutrizione. Sono arrivate tante straniere nel nostro campionato, non sono di nazioni fortissime, però ci aiuteranno a imparare e assumere l’atteggiamento professionale che qui manca. Di questa nuova stagione mi piace il gioco della Fiorentina, ma anche del Milan, si vede la mano di Morace. La Roma deve amalgamarsi, paga il ritardo con cui è stata costruita. Al Sassuolo ho detto no, perché volevo stare in Nazionale: ha trovato un bravo allenatore, (Piovani ndr) felice di allenare le donne, parla con tutte, c’è una bella atmosfera in quella squadra. Per essere un bravo coach con le donne devi saper allenare la componente emotiva, altrimenti è tutto faticoso. La maschile non la seguo».

UOMINI E DONNE. «Tengo i corsi Uefa C, ma gli uomini sono diffindenti di fronte a una donna che parla di calcio. Ancora è così - sospira - Quando si distraggono e chiacchierano, li invito ad andare fuori se non sono interessati. Allora stanno zitti e attenti: questa è capacità di gestione del gruppo - ammicca - Potrei allenare gli uomini certo, mi hanno proposto una prima categoria ma non mi interessa. Mi piace il confronto quando è con persone aperte, come con Sorbi (insieme nell’Under 23 ndc) è uno che ti fa stare a tuo agio, non senti la differenza di genere. Patrizia Panico che allena l’Under 15 maschile è una cosa importante, lei ha rafforzato ulteriormente il ruolo di allenatrice. Quando Gaucci affidò la Viterbese a Morace era per scena, l’ha messa in mezzo senza darle la possibilità di dimostrare il suo valore in una squadra di professionisti. I mister per me non hanno sesso».

LA VITA E' UN VIAGGIO. Nazzarena Grilli è leggera, silenziosa e necessaria. Tra lavoro e calcio negli anni nella sua vita è riuscita anche a viaggiare molto. Ama il Che e quindi Cuba è stata tra i suoi viaggi più belli. La lettura è la pausa che preferisce da moduli e schemi. Milano, la città giusta per lei, e in Umbria non vuole tornare. Non sa quando smetterà col calcio, perché proprio non ci pensa. Il calcio è il suo salvavita, l’àncora e il porto sicuro, è quella cosa che l’ha resa immortale a se stessa. Nazzarena non è una da bilanci, perché finché il tempo non è finito conti non se ne fanno. E poi c'è poco da far bilanci, pesi e misure perché il pallone la vita gliel’ha restituita e gliela resituisce ogni giorno. Anni e anni di campi, belli sempre, a volte brutti, di prato e di terra, di vittorie e sconfitte, di gioia e fatica, racchiusi in un’immagine parlata e stampata nel luccichio dei suoi occhi. «La mia carriera? La vedo nei volti delle giocatrici: stanche, infangate, coi capelli appicciati dal sudore, felici che mi saltano addosso. Il calcio per me è parimonio umano... Forse l’ho già detto». Forse, ma è bello che lo ripeta.


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