Bartoli: La Roma e i Mondiali, io senza sogni non so stare

Romana e romanista, difensore e capitana giallorossa, azzurra verso Francia 2019, è tornata a casa per vincere. "Ho scelto il progetto del club e Bavagnoli. I miei idoli Nesta e Masia. Sono cresciuta con la Torres di Tesse. La Fiorentina nel mio cuore. Mio padre è il mio punto di riferimento. Io come Gattuso? Ho i piedi migliori dei suoi"
Bartoli: La Roma e i Mondiali, io senza sogni non so stare
Valeria Ancione
14 min

Il bivio è a colori nel cammino di Elisa. Niente cartelli, niente  spiegazioni, solo colori. Il colore del bivio è un’attrazione del cuore, è un focolare, è una passione, è una canzone di Venditti, è giallorosso. Una e poi due volte di fronte a quel bivio ci si è trovata Elisa Bartoli, difensore cattivo per disegno del divino calcio. La chiamano Gattuso da quando era bambina, è un concentrato di grinta ed esplosività, con la voce piccola e il sorriso sempre pronto. Cattiva davvero non è, la disegnano così...

SEMPRE PER CASO. La Lazio o la Roma? La Roma. La Fiorentina o la Roma? La Roma. “Alla Lazio non ho potuto dire di sì, sono troppo romanista, non ce l’avrei fatta a giocare lì. E la Fiorentina l’ho lasciata, con dolore e contro il parere di tutti, per il progetto della Roma, perché voglio vincere qualcosa per la mia squadra e la mia città. Questo è sempre stato il sogno”.

Il sogno finale non è che una costellazione di piccoli sogni, un attraversamento nella galassia calcio. Fin qui un cammino lungo, che a voltarsi indietro, a 27 anni, si vede una scia infinita. Partenza da Ponte Milvio, lì dove i metri di felicità li determinano i rimbalzi di un pallone, lì dove i lucchetti del ritorno sono appesi al ponte più bello sul Tevere. Elisa da Ponte Milvio, che per un romano anche un quartiere “in e chic” fa borgata, e dà il senso dell’appartenenza. Il romano si identifica nei suoi luoghi, perché una città così grande e bella e piena è tua nel suo frazionamento e nasce il senso di mio. E così inizia la “confessione”. “Sono Elisa Bartoli di Roma, Ponte Milvio. Ho iniziato a giocare sotto casa di nonna, nel cortile con mio cugino e i suoi amici: tutti maschi. E adesso il calcio è il mio lavoro”.

Per caso, sempre per caso. Le “vecchie” calciatrici, quelle che stanno per passare il testimone alle giovani, che raccoglieranno la bella eredità di una strada spianata, hanno tutte iniziato per caso. «Una volta sono andata all’allenamento di mio cugino, mancava un bambino, allora mio cugino si è voltato verso di me e dice ‘facciamo giocare lei, è brava’. Sono piaciuta e dopo quel “provino” casuale mi hanno chiesto di andare a giocare con loro. E di quella squadra di maschi sono diventata la capitana».

IL PRIMO BIVIO. Il papà contento, la mamma un po’ meno. Coi maschi ha giocato fino al limite di età (a 13 anni) poi il primo bivio a colori: biancoceleste o giallorosso? “Sono andata alla Roma, con Giampiero Serafini allenatore. Una fortuna... C’erano persone come Gioia Masia, il mio idolo, e poi Selena Mazzantini e tante altre che mi hanno fatto crescere. Dalla B subito in A2 (allora c’era, ndr) e infine in A. Poi la società è fallita e io volevo smettere».

Ma smettere di giocare è come smettere di respirare. «Alla fine di quella stagione mi ha ha chiamato la Torres, tanta roba... La Sardegna però è un’isola troppo lontana da Roma. E noi romani facciamo fatica ad andare via. Alla fine ho detto ‘mi butto’ e sono andata. La prima notte ho pianto. Lontana da tutto e tutti. Però ci ho messo poco ad ambientarmi in una squadra super, ci allenava Manu Tesse (ora alla Lazio ndr), e ho vinto il primo scudetto e una Supercoppa. E' stata una grande crescita per me, essere in quella squadra in quel momento. Giocare con Panico e le altre ha alzato il livello, se fossi rimasta a Roma non avrei avuto tanto. E poi fare un’esperienza di vita così, senza mamma e papà, è stato fondamentale. Ho imparato a gestirmi, a occuparmi della casa, a fare la spesa. E ho capito cos’è avere una mentalità vincente».

Anche la Torres però è fallita. E sono rimasti bei ricordi e tanta amarezza. Altro bivio, un bivio senza colori però. E incolore è rimasta la sua stagione al Mozzanica. «Non per la società, sia chiaro, pativo il clima, il freddo, allenarmi la sera. Non riuscivo a vivere lì. A fine stagione è arrivata la Fiorentina: ho vinto scudetto e Coppa Italia. Due anni meravigliosi, un pezzo di cuore è rimasto lì, come in Sardegna. Il primo scudetto della Fiorentina rimarrà il ricordo più bello: la partita al Franchi con diecimila persone non lo scordo più».

IL SECONDO BIVIO. Ed eccolo un altro bivio a colori. Viola e giallorosso, belli tutti però uno deve vincere... Il cuore comanda, la testa si piega, il pallone cammina, in direzione forte e contraria a Firenze. Di ex Capitale in Capitale. “Una decisione difficile: da una parte la Fiorentina dove stavo benissimo e che voleva fare una squadra per vincere il campionato. Dall’altra le voci sulla Roma di Pallotta che stava per entrare nel femminile, ma per essere competitiva? Era un punto interrogativo. La certezza poi è stata la scelta di Bavagnoli per la panchina. L’ultima settimana a Firenze è stata devastante. Dormivo quattro ore a notte per i tanti pensieri. Tutti, i miei genitori compresi, mi suggerivano di restare in una squadra ambiziosa, nell’anno dei Mondiali non potevo sbagliare. Mi sono fidata però delle parole di Bavagnoli e del grande progetto della società. Sono andata contro tutto e tutti. Ma io vado sempre controcorrente, le sfide facili non mi piacciono. Volevo tornare a casa e rappresentare la Roma da capitano. E ora sono contentissima. La storia della Roma insegna che non è un club che si accontenta. Non credere o non investire per scudetto o Coppa o Champions non ha senso. Lo sport senza un obiettivo non ha la luce, allora smetti». E i sogni sono una perla rara da andare a cercare senza arrendersi mai, di ostrica in ostrica. I sogni sono di chi sa sognare. “Io gioco perché ho visioni, ambizioni. Sogno di vincere con la Roma. Sogno la Champions e i Mondiali. Non sono venuta a Roma per accontentarmi, ma per vincere una coppa, uno scudetto”.

I MESI DIFFICILI E IL RILANCIO. Ci sono stati mesi però che a silenziare i dubbi era complicato. Un rodaggio lento. Poi... I primi mesi difficili, normale con una squadra giovane, inesperta, nuova. Però sono contenta di come stiamo venendo fuori, col bel gioco. Siamo toste, siamo romane”. E dopo aver fatto il pulcino per tanti anni, adesso è chioccia e per di più con la sua maglia del cuore addosso. “E già, sono io la vecchia adesso, a 27 anni. Alle giovani dico che umiltà e sacrificio sono il segreto per riuscire, sono la base di tutto. Io corro più di tutte? Mi piace correre per le altre, sacrificarmi, una volta ho bisogno io di una mano, una volta tu. Tutte sullo stesso piano. Se devo attaccare attacco e se tu devi difendere difendi. Nella Roma giochiamo una per l’altra e credo che questa cosa si veda. Per me è un’esperienza diversa dalle altre, prima c’erano le grandi, ora tocca a me dare la parola di conforto, capire gli stati d’animo e intervenire, e se è il caso alzare la voce o calmare. Aiuto a crescere, ma in realtà cresco con loro. E sto cambiando, per esempio ho imparato che se una cosa va storta non posso vedere solo la parte negativa, ma devo trovare il positivo e da quello ripartire. Sennò si distrugge e basta».

GATTUSO A CHI? Piccoletta e con quella vocina da bambina non ci credi che sia cattiva. Anche la nonna glielo ripeteva spesso “in campo ti trasformi”. “Se non mollare mai, e lottare su tutti i palloni è cattiveria, allora sì sono cattiva. Ma io direi piuttosto che sono severa con me stessa, non mi perdono nessun errore e allora forse anche con le altre divento severa. Però mi sono ammorbidita. Mi dicono ‘qualche errore te lo puoi concedere, non puoi essere perfetta o cercare la perfezione in tutto, sciogliti, concediti...‘ E invece mi massacro. Nel calcio di più, ma anche nella vita. Ho l’animo del difensore e un difensore se sbaglia sono guai». Ma Gattuso che c’entra? «Gattuso è uno che ci mette il cuore. Però sono più controllata di lui. Gioia (Masia, tra l’altro tifosissima del Milan, ndr) mi ha dato questo soprannome, perché già da ragazzina non avevo paura, non mollavo, correvo. Ma coi piedi sono più brava di lui”

IL BIVIO AZZURRO. Elisa l'abbiamo incontrata a Coverciano, dove era in raduno con la Nazionale in preparazione dei Mondiali di Francia 2019, da giugno. Dieci giorni, due amichevoli vinte, è davvero un'Italia che va e promette sogni, dopo vent'anni di assenza. Sarà un punto e a capo importante per le azzurre, un bivio di rilancio. «Un Mondiale fatto bene farà crescere tutto il movimento. E’ il sogno della vita. Prima lo guardavo in tv e ora ci sarò io a cantare l'inno. Mi dà i brividi ogni volta. La partita col Portogallo, che è valsa la qualificazione, l’ho giocata col cuore a mille. Vincere è importante per tutti. Perché ti porti tutta l’Italia addosso, e si sente il peso. Un bel peso, però. Adesso questa Italia di Bertolini ha una sua identità, un suo gioco, perché abbiamo più fiducia in noi stesse e una consapevolezza che prima non avevamo. Il bello dei raduni è rivedersi tutte, farsi battutine sul campionato e indossare la maglia azzurra. Più ti alleni più cresci, e impari. Niente si deve dare per scontato, se pensi che sei arrivata è la fine".E già, nemmeno il campionato è scontato. «Da ex viola spero che la Fiorentina vinca lo scudetto. La Roma non è fuori dei giochi però. La rincorsa si fa, scontri diretti in ballo ce ne sono. E ‘ un campionato bello, entusiasmante. A differenza di quello maschile dove vince sempre la stessa da sette anni. Un po’ noioso. Mi piacciono di più quello inglese e spagnolo. La Roma? E’ giovane, bisogna darle tempo, ma noi romani non abbiamo pazienza. Di Francesco mi piace, spero che non ci rimetta lui. I miei preferiti sono Zaniolo, Dzeko, Perotti».

IL MONDO DI ELISA. Tifare per la Roma è il ricordo di ieri, di dieci persone nel salotto di casa Bartoli, intorno a un televisore. Ed è il ritorno di oggi, allo stadio, in tribuna per il derby. “Che emozione. Quando hanno premiato Totti avevo i brividi come quando sento e canto l’inno. Tante cose non si possono spiegare”. Ha i suoi idoli e nessuno romanista, anzi e... addirittura. “Nesta (ex capitano della Lazio dell’ultimo scudetto, ndr), Kafu e Roberto Carlos. Delle donne, Fabiana del Brasile, terzino destro, una poteza bestiale. E poi ovviamente Gioietta Masia, eleganza pura. Ha avuto tanta pazienza con me che ‘sò de coccio’ e finché non ci sbatto sulle cose, non cambio idea. Gli errori però fanno crescere”.

Ha studiato all’artistico perché le piace disegnare, ma la matita non la prende in mano da tempo. Dei monumenti di Roma, il suo preferito è il Colosseo. «Lo adoro perché è possente, solo a pensare che lo hanno costruito con le mani... Affascinante. Immenso: vedi tutta la potenza di Roma”. Ha una sorella più grande, che la segue tra campo e social. Otto anni di differenza, lontane ma legate. «Viene tutti i sabati alle partite, bellissimo avere la mia famiglia in tribuna. Vedere mio padre soddisfatto poi... Lui è stato calciatore, un rognoso mediano. Mia nonna sosteneva “tu sei brava, però tuo padre..“. Papà mi sostiene e mi dice “quello che fai tu è quello che sognavo io”. Lui è il mio punto di riferimento”. 

E’ tornata a Roma ma non a casa. Vive da sola con il suo cane Cocco, in un altro quartiere che piano piano farà suo. Gli uomini della Roma li incontra raramente. “Ho parlato con Di Francesco, De Rossi, Florenzi. Non abbiamo tanti contatti. Totti è una leggenda. Quando ho fatto la foto con lui non riuscivo a parlare. E’ una persona pura”. Il calcio è un gioco da maschi? Non si sa se la fa più arrabbiare o ridere. Forse ridere. «Chi lo dice è ignorante. Ne riparliamo fra un paio di anni, quando anche l’Italia avrà raggiunto i livelli europei». Il calcio è davvero un lavoro. «Ci occupa dalle 12 alle 18 ogni giorno. Nei week end ci sono le partite e mettiamoci poi pure i raduni con la Nazionale. Non ci arricchiamo, ma finalmente non ci rimettiamo. Cosa avrei fatto senza? Non ho idea. Mi ha dato tanto però. Oltre i trofei e le vittorie, contano le persone che ho incontrato. Belle parole, abbracci sinceri, condivisione. Quello che mi piace è arrivare all’obiettivo e fare la strada assieme. Non potrò mai dimenticare quando sono andata via dalla maschile, i fuochi d’artificio, lo striscione e i fiori nell’ultima partita. O gli scudetti con la Torres e la Fiorentina. O la discesa della scalinata di Piazza di Spagna, tutta la Roma assieme, uomini e donne; entrare in campo con la fascia sulla maglia giallorossa. E ora questo Mondiale... chi mai poteva credere».

Dal lunedì al sabato indossa la tuta, tra allenamenti e passeggiate col cane, poi il sabato sera esce con la squadra e si “veste”. Non  ama la discoteca né tanto meno bere. «Alla fine la squadra è una famiglia. Sono una tranquilla. Preferisco fare due chiacchiere, mi piacciono le cose semplici”. Non ama i piercing e tatuaggi ne ha pochi e discreti. «Il primo l’ho fatto a 17 anni e rappresenta mia nonna che non c’è più. Era una seconda mamma. Ci penso tanto, quando gioco, quando faccio un gol guardo il cielo, sento vicina la sua presenza». E’ chiusa e questo non lo sopporta. “Faccio fatica ad aprirmi, sono introversa non diffidente, il calcio mi ha aiutato tanto però. Quando ero piccola a casa non parlavo mai. Tengo tutto e poi esplodo”. Il corpo è il suo strumento da lavoro, per questo sa di doverne avere cura. Le lasagne sono il piatto preferito, e le sa anche cucinare, meglio bianche coi funghi. «Sono una pastasciuttara. Ma amo anche i dolci. Tra tutti scelgo tiramisu e millefoglie». Trhiller e romanzi d’amore sono la sua passione così come andare al cinema. Il film preferito? Troppo facile... «Il Gladiatore, ma anche l’ultimo dei Mohicani e Braveheart».

Elisa ha la voce da bambina, una cattiveria solo disegnata, e il cuore innamorato. Ha la deformazione del difensore, si lancia nelle fiamme ed è abituata a decidere in poco tempo, senza chiedere aiuto da casa. «Le scelte le ho fatto sempre da sola, anche sbagliando. Ma non ho mai dovuto scegliere tra il calcio e l’amore. Dopotutto il calcio è l’amore».


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