ROMA - La nemesi: Jovane Cabral, una comparsa con la Lazio nella scorsa primavera, a Salerno “libererebbe” il norvegese Botheim, antico obiettivo di Tare, o Bonazzoli, entrato da mesi nel mirino di Sarri e nelle ultime ore trattato dal Sassuolo. Tutti prendono attaccanti, anche solo di complemento. Non il senatore Lotito, nascosto dietro al trito e ritrito ritornello. La Lazio, a suo dire, non avrebbe bisogno di rinforzi per pensare a un piazzamento Champions e poi occhio a non turbare l’equilibrio dello spogliatoio, un teorema da appioppare (senza motivo) a Immobile come in passato succedeva con Klose e Rocchi. La verità è che Tare, tolto il biennio di Caicedo (ideale per età, valore e pretese contenute), non ha mai voluto un organico con due prime punte se il modulo ne prevedeva una sola titolare. E Lotito, di solito propenso ad alleggerire i costi nel secondo semestre del bilancio (chiusura il 30 giugno), non ha mai tirato fuori i soldi a gennaio. Solo prestiti, gratis o quasi. Mai investimenti. Gli unici risalgono alla stagione veramente a rischio della sua gestione. Dias, Biava e Floccari nel 2010, quando Ballardini aveva trascinato la squadra biancoceleste a un passo dalla retrocessione in B. L’intuizione Candreva, due anni dopo, venne partorita da Reja e dai suoi contatti con Pastorello. La Lazio era in corsa Champions e il vecchio Edy minacciò le dimissioni e convinse Lotito a chiudere l’operazione con una telefonata agitatissima a meno di mezz’ora dal gong delle trattative. Il giorno successivo non mancò l’inevitabile discussione con Tare. Passano gli anni, non cambia la storia, figuriamoci le dinamiche. Basterebbe cambiare i nomi, la cronaca è già scritta, va solo ristampata. La diversità è nel buon senso di Sarri. Sa già come andrà a finire e ha rinviato i conti al termine della stagione e allora non si potranno escludere i colpi di scena.
Juve-Lazio, Sarri dà spazio a Maximiano e Lazzari dall'inizio