Koulibaly e Leao, due top contro l'eclissi italiana

Koulibaly e Leao, due top contro l'eclissi italiana
Marco Evangelisti
5 min

Nessun destino è segnato, neppure quello del calcio italiano. Però quando sei in fase di declino incontri sempre più spesso snodi decisivi e bivi fatali, oltre a gente ben disposta ad aiutarti a precipitare e a schiacciarti le dita quando ti aggrappi. Il periodo del mercato, la stagione delle sciocchezze come preferiscono dire gli inglesi, è uno di quegli snodi. Per adesso non ce la siamo cavata male, ma tra procuratori dagli occhi grifagni e manager colpiti da elettrizzante benessere la folla di individui poco raccomandabili è già parecchio folta.

Abbiamo incassato Angel Di Maria, Romelu Lukaku e Paul Pogba. Gente di nome e sostanza. Qualcuno probabilmente ha visto giorni migliori, ma nella vita capita. Potevano essere dovunque, sono qui, hanno voluto tornare da noi o venire a conoscerci e qualcosa significa. Questo è il lato luminoso della faccenda.

D’altra parte, stanno correndo piacevolissimi - per loro - rischi i pochi giocatori di primo livello che ancora o per ora giostrano nel nostro campionato. Capitolo primo, Kalidou Koulibaly: ex giovane forgiato in otto anni di Napoli, considerato il cemento della squadra da Spalletti, difensore centrale torreggiante, solido ed esperto. Praticamente il Nirvana per qualsiasi difesa abbia la sorte di implementarlo. Infatti - Juventus a parte - ci stanno provando Chelsea, Barcellona e, origliando da lontano, il Paris Saint-Germain. Cioè rappresentanti di campionati che rispettivamente incassano il triplo e il 50% in più del nostro. Quello francese vale un po’ meno, ma il Psg da solo produce un terzo del fatturato.

Capitolo secondo, Rafael Leao. Che per rinnovare il contratto chiede luna e pianeti al Milan, dove arrivò fanciullo e dove hanno aspettato due anni di vederlo crescere, fiorire e diventare ciò che è, un terrore delle praterie. Possiamo aggiungerci un’appendice: Paulo Dybala, sin qui condannatosi con le sue mani a un limbo. Ci sarà pure un’uscita, ma sinora lui e i suoi incerti gestori non l’hanno trovata.

Preferiremmo vedere Dybala all’Inter, al Napoli o alla Roma, ma se non dovesse accadere ce ne faremo una ragione. Ciò che resta del peso della Serie A si misura invece sugli altri due. Sulla capacità del nostro campionato, diviso, prosciugato, affidato a mani tremolanti, esiliato in stadi da periferia del mondo, incapace di guarire dalla febbre del risultato e dalla paralisi sfibrante della tattica fine a sé stessa, popolare nel resto del pianeta quanto un film musicale in bianco e nero degli anni sessanta, di trattenere quei due o tre campioni a cui le squadre danarose e potenti d’Europa ritengono opportuno offrire altri palcoscenici e più allettanti prospettive di carriera.

Se ci riusciremo, non sarà per il colore dei soldi dei nostri club. Dai bilanci piuttosto scoloriti, com’è noto, con qualche significativa eccezione. Le ultime squadre della Premier hanno una capacità di spesa superiore a quella della grande maggioranza della A. Almeno tre della Liga surclassano pressoché chiunque, difficoltà contingenti a parte. Bisognerà offrire ai Koulibaly e ai Leao orizzonti di crescita, sicurezze tecniche, ambienti confortevoli, strutture organizzate. Il Milan, per esempio, un’impostazione di futuro sostenibile e ambizioso l’ha messa in piedi. Il Napoli sembra in fase di correzione di rotta, non di rinuncia. Lo dimostra la proposta ricca di soldi e di stima, trenta milioni e un domani dirigenziale, presentata a KK. Altre realtà stanno tracciando la propria strada. Se alla fine di questo mercato oltre ad aver assorbito Di Maria, Lukaku e Pogba avremo pure convinto almeno Koulibaly e Leao che vale la pena scommettere sulla Serie A, vorrà dire che il nostro calcio, con tutti i suoi lati oscuri, ha sempre lo spazio che storicamente merita e il tempo di tornare a svilupparsi. Diversamente, sarà rassegnazione alla decadenza e a farsi schiacciare le dita dal primo che passa.


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