Da Koulibaly a Kim: per il Napoli un'altra sfida ai luoghi comuni

Anche Kalidou arrivò in città circondato da grande scetticismo: sarà il campo a giudicare il sudcoreano
Da Koulibaly a Kim: per il Napoli un'altra sfida ai luoghi comuni
Antonio Giordano
3 min

Gennaio del 2014, le convulse ore di un mercato nel quale il Napoli ci stava mettendo già tanto (Ghoulam, Jorginho ed Henrique), Aurelio De Laurentiis chiama Rafa Benitez e, mentre sta per suonare la sirena che mette fine alle trattative, gli annuncia che ci sono 15 milioni di euro per un centrale: tra il sì e il no è un attimo ma il señor della panchina, l'architetto d'un tempo nuovo e si potrebbe aggiungere (quasi) infinito, scelse la strada più coraggiosa e declinò l'invito. «Avendo appena opzionato Koulibaly, possiamo aspettare giugno e poi puntare su di lui». 41 presenze in Ligue 2 con il Metz e 52 con il Genk in Belgio rappresentavano, più o meno, la stessa incognita delle 45 in Cina nel Beijing e delle 31 con il Fenerbahce in Turchia che Kim Min-jae ha sommato recentemente. 

Analogie e pregiudizi

I paragoni, nel calcio, sono improponibili ma nelle analogie qualcosa si può andare a leggere, fosse anche una suggestione, dalle quali conviene comunque però sfuggire, anche perché poi uno è diventato Koulibaly e l'altro vorrebbe essere gigantescamente Kim, al di là del metro e novanta e dei pregiudizi di fondo che, anche d'estate, abbondano. Il Napoli ha scelto, ci ha messo la faccia e anche il portafogli, ha investito in maniera sostanziosa su un giocatore che non ha appeal, né background come s'usa adesso per riempirsi la bocca, e dietro un acquisto del genere - così decisivo, così costoso - non c'è la traccia dell'avventura, da scacciare a prescindere. Poi il campo fungerà da cartina di tornasole e certe storie possono finire benissimo, anche se sono cominciate impregnate di una diffidenza di fondo che metà basterebbe.

A scuola da Spalletti

Quando Kalidou Koulibaly arrivò a Napoli, i bicchieri che Rafa sistemò sul tavolo per spiegargli i movimenti parevano sostanzialmente vuoti e nei logorroici luoghi comuni s'è sentito di tutto, pure qualche sbuffo ai primi umanissimi errori. È andata come s'è visto, perché in quell'uomo tutto d'un pezzo si nascondeva ciò che in pochi avevano intravisto. Kim atterra in un mondo che gli è appartenuto lateralmente ma il calcio s'è aperto da un bel po', ha offerto "master" a cielo aperto nella Cina infarcita di europei e dunque di una scuola, s'è formato al Fenerbahce che ha una cultura cosmopolita (argentini, brasiliani, uruguayani, tedeschi), si calerà in una città che sa essere curiosa e cordialmente indulgente, nel caso ce ne fosse bisogno. Nella serie "nessuno nasce imparato", e neanche Koulibaly ci riuscì, le diagonali e le marcature sono persino ignorate: quelle rappresentano l'A, B, Kim del calcio. Altrimenti c'è Spalletti...

 


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