Messi, il profeta. Pirlo, l'architetto

Sabato il faccia a faccia. Occhio all’Apache e al Pistolero. Barça favorito? Sulla carta…
Messi, il profeta. Pirlo, l'architetto
Biagio Angrisani
3 min

ROMA - Il Barça rivuole il trono d’Europa. L’ultima investitura fu nel 2011 quando battè in finale il Manchester United per tre a uno aggiudicandosi la quarta Champions League della sua storia. Adesso l’ostacolo si chiama Juventus e sabato prossimo ci sarà la resa dei conti nell’Olympiastadion di Berlino. La squadra di Luis Enrique mano a mano con quella di Max Allegri.

IL TRONO - La Catalunya ha una vena repubblicana repressa e i re li sopporta malvolentieri però, quasi per nemesi storica, da secoli vive sotto la monarchia e solo per un periodo brevissimo è riuscita, tra barricate e contrattacchi, durante la Guerra Civil, a vivere una stagione differente sebbene in un caos storico senza precedenti.

ROSARIO - Tre Champions conquistate, una in meno rispetto ai colori che indossa. Lionel Messi, il “monarca” che sa essere democratico nel collettivo blaugrana e colleziona successi a iosa per se medesimo e i suoi compagni di ventura. Non parla catalano e neppure il castellano, ma ha il suo accento rosarino e argentino di un mondo lontano. E, soprattutto, si esprime in campo, in una lingua già ascoltata dai “culè", molti anni fa, parlata dal Pibe de oro. La favella del football massimo, dove una finta è un olè che arriva dal cuore e un suo gol la speranza ultima quando anche l’ultimo dei santi ha deciso di andare a dormire perché stanco.

LIONEL E ANDREA - Tra il Barça e la Champions c’è la Juventus. Il bianco e nero. Una difesa non invalicabile ma affidabile decisamente dura, una mediana con il cileno Vidal, un attacco con l’Apache, suo conclamato nemico personale. E soprattutto c’è l’architetto, il Di Stefano moderno, Andrea Pirlo. Colui che sembra distrarsi e poi ti gela mettendo la palla tra le mani del portiere e lo spazio mancante per entrare in rete o inventarti il lancio da una posizione assurda per mandare in gol Morata, così ancora “blanco” sebbene abbia aggiunto del nero alla sua maglia. 

OLYMPIASTADION - Sabato il redde rationem. In quello stadio dalle mille stagioni. Dai record di James Cleveland Owens, detto Jesse, il figlio del vento, a oggi molta acqua per fortuna è passata sotto i ponti. Sinanche una Coppa del Mondo azzurrissima in una notte dolce dove tutti gli italiani riuscirono a dire - almeno con il pensiero - “Ich bin ein Berliner” come John Fitzgerald Kennedy - quando Fabio Cannavaro alzò il trofeo al cielo. Un trofeo che Lionel non ha mai vinto in albiceleste mentre Maradona sì. Certo, è una Champions, un’altra storia ma quella notte berlinese Andrea c’era mentre Lionel vedeva la partita in tv. Stavolta, è diverso, chiaro, è tutto diverso, ma l’Apache ha il coltello tra i denti, Vidal c’è e Pogba non è più solo un apprendista stregone. Neymar, il pistolero Luis Suarez vorranno dire la loro come gli altri in campo come è giusto che sia. Il Barça ancora favorito? Forse, più o meno, vedremo.

 


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