In Champions un altro Napoli

In Champions un altro Napoli© FOTO MOSCA
Ivan Zazzaroni
3 min

Alla pari, certo. Orgogliosamente. Non abbiamo rivisto (qualcosa di) Maradona, né visto il vero Messi: l’interpretazione da fuoriclasse l’ha fornita Mertens che nella serata di gala si è ricavato uno spazio sempre più significativo nella storia del club raggiungendo Hamsik a quota centoventuno gol. A questo Napoli ancora imbattuto in Champions e capace di ribellarsi a un destino già scritto non si può rimproverare nulla.

Accettata la superiorità tecnica del Barcellona, si è difeso, ha lottato, gli occhi sempre spalancati, si è sacrificato, ci ha anche provato e in particolare nella ripresa ha avuto più di un’opportunità per segnare il secondo gol (prima con Insigne e poi con Callejòn). Purtroppo ha pagato caramente la prima distrazione, la prima e l’unica, commessa da Mario Rui che ha perso la linea lasciando campo a Semedo e spiazzando Manolas e Maksimovic, anticipati da Griezmann.

Nessuna invenzione, nessuna rassegnazione, tanta preparazione, la necessaria applicazione, difesa e contropiede, due linee strette, di cinque e di quattro, e il solo Mertens a garantire una parvenza di verticalità. Ogni tecnico reinventa la partita all’italiana a modo suo: Gattuso ha avvolto il Barcellona con una partitura sapientemente minimale. La prima ripartenza concessa dopo venticinque minuti di palleggio insistito e vuoto (Messi fermato da Manolas); Umtiti e Piqué, i centrali difensivi di Setién, condannati dalla strategia di Gattuso a impostare toccando decine di palloni (166 soltanto nei primi 45’).

Un calcio a dir poco urticante e frammentato, nessuna idea seducente, ma che ha trovato la sua legittimazione nel destro vincente di Mertens, maestro di pirotecnìa ridotto (azzoppato) da Busquets. Era da tre anni esatti, febbraio 2017, che il Barcellona non chiudeva il primo tempo con due sole conclusioni verso la porta avversaria. In Champions è un altro Napoli, un’altra storia: Liverpool, Red Bull, Barcellona. In Champions il Napoli ritrova la testa e non è solo una questione di motivazioni o di differenti interpretazioni: il campionato lo obbliga a farla, la partita, più che a subirla; l’Europa pretende cose diverse.


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