Inter-Liverpool, la differenza c'è e si conta

Inter-Liverpool, la differenza c'è e si conta© Inter via Getty Images
Ivan Zazzaroni
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In Champions più avanti si va e più si invertono le parti, i rapporti di forza. Soprattutto per le italiane. Qualità, questa conosciuta e in gran parte da noi perduta. Venivamo da un martedì in cui, a venti dalla fine, nel Psg era entrato Neymar per Di Maria, mentre in panchina sedevano ancora Wijnaldum, Kurzawa, Herrera, Draxler e - ma sì - Icardi. Nella stessa serata il City ne aveva fatti quattro in un tempo allo Sporting. Venivamo dal paradiso delle inglesi e ci siamo ritrovati nel purgatorio delle nostre, ovvero dentro la sfida dell’Inter a un Liverpool che si è permesso di schierare dall’inizio un diciottenne, Harvey Elliott, risparmiando Keita, Firmino, Jordan Henderson, Origi e il super acquisto di gennaio Luis Diaz, più bravo che bello, cercato per mesi da mezza Europa, in primis dal Tottenham. Ed è successo quello che in fondo ci aspettavamo: l’Inter ha giocato per un tempo, il primo, la partita che in campionato tocca di solito alle sue avversarie e il Liverpool ha fatto il Liverpool, a tratti con sufficienza. La ripresa ci ha però mostrato, e per molti minuti, la migliore Inter (con il miglior Vidal) della stagione, superiore anche a quella che a metà settembre aveva messo in difficoltà il Real, al di là della sconfitta, molto casuale: non ricordavo un’italiana capace di giocare alla pari dei Reds. L’ultima, il Milan di Ancelotti. Ma proprio mentre Ambrosini, commentatore di Amazon, stava tenendo il conto dei minuti da grande Inter (12, poi 20, infine 75) Firmino ha segnato l’1-0 e subito dopo Salah ha messo in ghiaccio il passaggio del turno.

Gravina tra promesse voltafaccia e scommesse

Con chi ce l’aveva Gravina al termine del consiglio federale? A chi si rivolgeva? A chi vuole la sua testa e a chi la mattina gli aveva detto una cosa e in assemblea ha portato il contrario? Dice il saggio: “Chi non fa promesse, ma mantiene le premesse, allora è la persona giusta”. Così il presidente, ieri: «Si tolga il pensiero chi si augura che l’eventuale mancata qualificazione ai Mondiali della nostra Nazionale possa porre fine al mio mandato. Resto fino al 2025, non sono tipo da dimissioni e soprattutto ho il gradimento interno e anche quello esterno». E dopo l’ennesima puntualizzazione - era già stato fin troppo esplicito nell’intervista concessa a Barbano - Gravina è tornato sul tema dei ristori: non li chiederà per il calcio professionistico, ma solo per quello dilettantistico, maggiormente colpito dal caro bollette. «So che la sottosegretaria Vezzali si sta impegnando per trasformare il tavolo tecnico che ho richiesto in tavolo governativo. Lunedì sono stato convocato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Garofoli e abbiamo parlato del caro bollette e delle altre priorità del calcio italiano. Non chiederò più ristori, perché sentire altri “no’’ mortifica il nostro impegno. Stiamo lavorando per dare pari dignità al mondo del calcio rispetto a altri settori dell’economia. C’è un giro d’affari attorno alle scommesse che in Italia ammonta a 13-15 miliardi di euro, chiediamo la tutela del nostro diritto d’autore». Insomma, al calcio non serve l’elemosina governativa, peraltro impopolarissima: gli va restituito parte di quel che solo il calcio produce. Il ritorno alla pubblicità sul bet (scommesse legali) sarebbe una mano santa. Anche per lo Stato.

PS. Sempre come promesso (o minacciato) la Federcalcio ha nominato il commissario ad acta per la Lega. Quando ho saputo che si trattava di Terracciano, sulle prime ho pensato: eh, sì, Gravina sa bene che in via Rosellini, più che un presidente, serve un portiere. Per chi non l’avesse capita, c’è sempre la pagina 777 di Televideo toscana.


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