Flick, l'anti-personaggio
A differenza di Luis Enrique, è schivo, non ama la ribalta né lo scontro con i giornalisti. È l’anti-personaggio. Il Barcellona impiegò un mese prima di presentarlo. La stagione è quasi finita e di lui non si ricorda una polemica, una frecciata, un sottinteso. Giusto qualcosina sui calendari della Liga che a suo dire danneggiavano il Barça. Poca roba. Segue tutte le indicazioni del club nella comunicazione. Un sospiro di sollievo per i dirigenti catalani dopo l’esperienza di Xavi. Non si è mai lamentato della rosa, nemmeno nei giorni burrascosi in cui era a rischio il tesseramento di Dani Olmo. Ha sbrogliato la matassa Lewandowski (certo avercene di matasse così) che Xavi non voleva. Ha rivitalizzato Raphinha che è sempre stato fortissimo ma mai decisivo e incisivo come in questa stagione. Ha reso apparentemente semplice la gestione di Yamal nuova stella del calcio mondiale che non ha nemmeno 18 anni.
Flick, tedesco brasiliano
Tedesco nei modi, brasiliano nel modo di intendere il calcio. In campo non accetta ingerenze. Decide lui come si gioca e con quale filosofia. E non ha alcuna intenzione di cambiarla. Il suo Barcellona conosce una sola legge: segnare un gol più dell’avversario. Fin qui, è andata benissimo. È primo in Liga. Ha battuto tre volte su tre il Real Madrid (e due volte con un punteggio molto largo). E un terzo del triplete lo ha già portato a casa. Ovviamente anche in Catalogna, la patria dell’estetica, a fare la differenza sono i risultati. Qualcuno storce il naso per la difesa ballerina, Flick tira dritto e non si scompone. I risultati sono ampiamente dalla sua parte. Almeno fin qui.