Juve-Inter, Inzaghi d'Italia

Juve-Inter, Inzaghi d'Italia© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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L’ha sfinita. L’Inter ha dato un’impressionante dimostrazione di superiorità tecnica e atletica meritando di vincere la coppa Italia: Inzaghi ha così completato la doppietta dei trofei nazionali, una sua specialità. Due volte sconfitta, la Juve ha avuto solo una trentina minuti di vita vera, trenta su centoventi, troppo pochi per pensare di ottenere quello che cercava, successo e legittimazione.
Ottima la stagione di Simone, insoddisfacente - pur se risultano centrati gli obiettivi minimi iniziali, quarto posto e ottavi di Champions - quella di Allegri che a partire dal prossimo mese dovrà cambiare molto e bene per provare a restituire la competitività perduta alla Juve.  
Impressionante la differenza di condizione complessiva tra le due squadre: gran parte della ripresa e i supplementari hanno visto la Juve in debito d’ossigeno, condannata a inseguire. La brillantezza e l’efficacia di Perisic da una parte e il ritardo di Locatelli, spesso slegato, dall’altra (rientrava dopo la lunga assenza per infortunio) sono la sintesi per immagini di questa finale. Un ultimo atto effettivo per Dybala e Chiellini, e fors’anche per Morata, una pessima serata per De Ligt, responsabile dei due rigori che hanno permesso all’Inter di avviarsi al trionfo.  
Da oggi processi in chiave juventina (non saranno contemplate le tesi difensive) e le naturali riabilitazioni inzaghiane. Tutto cambia, nulla cambia. Ci siamo almeno gustati uno spettacolo televisivo di buon livello: con i chiari di luna ai quali ci stiamo abituando, non è poco.
Chiudo con la domanda che mi sono posto durante la finale: può una squadra che non ha Chiesa e McKennie, si è presentata a Roma con il giocatore più tecnico devastato dal divorzio, quindi in sfiducia, e il miglior difensore di trentasette anni tenuto insieme con lo scotch, ma anche con l’acquisto estivo più costoso (Locatelli) a mezzo servizio; può, ripeto, battere i campioni in carica ancora in corsa per lo scudetto? La risposta: 4 a 2.

Decreto Crescita, italiani e campagne stampa

Due-parole-due, utili, sul Decreto Crescita finalmente migliorato dall’emendamento Gravina-Nannicini. La norma originaria - l’ho scritto a più riprese - era di per sé assurda, se applicata al calcio, poiché lesiva dei diritti del giocatore italiano. La recente correzione la rende meno penalizzante e non intacca il diritto a insensibile risparmio dei club intenzionati ad acquistare all’estero campioni celebrati e quindi “molto cari”. Avrei tutelato maggiormente i nostri portando la soglia a 1,5 milioni lordi, 800mila netti: in quel range non si trovano top player e si può finalmente puntare su soluzioni interne, in particolare sui giovani, evitando inoltre di imbottire i vivai di esotiche promesse. 
Suggerisco la lettura dell’articolo di Alessandro Giudice e una riflessione relativa alle campagne stampa sul mancato impiego di italiani in serie A che danneggia la Nazionale, esclusa per la seconda volta consecutiva dai Mondiali. Ogni tanto - o a seconda degli interessi del momento - ce ne dimentichiamo.

La mamma (di Mbappé) è sempre la mamma

Nella lista dei costi “accessori” del trasferimento monstre di Erling Haaland al Manchester City, oltre a una ricca commissione per l’agente, spicca un super “compenso” (non saprei come definirlo) garantito al padre dell’attaccante norvegese. Si parla di una trentina di milioni. Sembra che la stessa anomalia si stia ripetendo nel passaggio di Mbappé al Real: i bene informati sostengono che la madre del francese, che è assistito direttamente dalla famiglia, chieda un centinaio di milioni. No, non ho bevuto. 
La Fifa, che ha dichiarato guerra agli agenti, in passato chiuse gli occhi davanti a situazioni simili, teoricamente vietate. Ora, però, viste anche le dimensioni delle stecche, deve farci sapere se la pratica è lecita e consentita oppure se va sanzionata qualora fosse irregolare.
Troppo semplice imporre “caps” e limiti assurdi, oltre che aggirabili, per puro populismo inseguendo l’applauso facile. È giunto il momento che Infantino e i suoi ci mettano la faccia, intervenendo in modo risolutivo e definitivo. Lo devono alle migliaia di professionisti “regolari” e ai genitori di calciatori in attesa di sapere se hanno diritto anche loro a un compenso. E all’etica, che non è una pianta da esterni. 


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