Italia-Spagna, accendiamo un Ciro

Immobile: 8 gol© EPA
Ivan Zazzaroni
5 min

Chissà se va, ha cantato e ballato per mezzo secolo Raffaella Carrà, la nostra stella più internazionale, capace di collegare con il talento, l’energia e l’allegria l’Italia alla Spagna (e ai Paesi latini) dove era popolarissima. Raffa è morta ieri pomeriggio a 78 anni. Il titolo che abbiamo scelto per questa prima pagina, tra le più importanti dell’anno, è un affettuoso omaggio a chi ha portato in giro per il mondo l’immagine migliore dell’Italia. È un omaggio, ma anche un augurio che formuliamo agli azzurri, poiché la Carrà proseguiva così: ma sì che va/ ma sì che va/ e se va se va se va tutto cambierà/ forza ragazzi spazzola/ e chi mi fermerà».

Chi ci fermerà? Noi non vogliamo farlo proprio adesso, perciò speriamo che “vada” anche questa volta. Stasera saremo in venti milioni davanti alla tv per spingere la Nazionale in finale. E forza ragazzo spazzola è l’incoraggiamento che rivolgiamo a Ciro Immobile, l’azzurro che ha subìto più critiche durante la spedizione europea, secondo alcuni l’anello debole della squadra. «Abbiamo un problema di centravanti, ma non possiamo risolverlo in una settimana e nemmeno in sei mesi», ha scritto Sconcerti, uno che si fa leggere e che a settantadue anni studia ancora, pur se in orari da metronotte. Altri hanno ipotizzato addirittura l’impiego di un falso nove, e proprio contro la Spagna, che il falso nove ha presentato per prima sulla scena internazionale: ricorderete Cesc Fabregas, a Euro 2012, in una posizione decisamente innaturale. Anche Pep Guardiola ha fatto spesso ricorso al centrocampista avanzatissimo - in particolare nella stagione appena conclusa - rinunciando a Gabriel Jesus e Aguero. Confesso che quando sento o leggo che il centravanti è lo spazio, nello spazio manderei volentieri chi lo dice e scrive.

Ciro non è il problema, bensì la migliore soluzione possibile. Non sarà Lewandowski, né Benzema o Lukaku, né tantomeno Ronaldo: a differenza loro, però, è ancora in gara: signifi ca che è funzionale a una squadra che non ha bisogno di un solo riferimento offensivo.

Mancini non poteva scegliere che lui, visti i numeri che ha raccolto in campionato e la Scarpa d’oro che calza con merito. Venerdì sera con il Belgio Ciro non era sereno e si è notato: non ne ha fatta una giusta. Costretto a muoversi costantemente spalle alla porta, la condizione per lui peggiore, ma impostagli dalle caratteristiche di una squadra di palleggiatori, oltre che dall’atteggiamento di un avversario con la difesa bloccata, ha sbagliato appoggi elementari (sempre troppo lungo o troppo corto) e tentato il tiro anche dagli spogliatoi. Generoso perfino nell’errore. Ha inoltre confermato di essere fuori fase anche quando ha simulato l’infortunio e si è rialzato di scatto per andare a festeggiare Barella. I commentatori inglesi l’hanno preso per il culo in diretta, Lineker ancora ride.

Di Ciro colpiscono la spontaneità, la passione quasi adolescenziale per il calcio e l’ipersensibilità alle critiche: avrebbe sempre bisogno di essere coccolato (l’ha ammesso giorni fa). Per portarci all’ultimo atto dovrebbe tuttavia farsi meno pippe mentali, provando a divertirsi e a giocare in fiducia e leggerezza. Non ho mai dimenticato la defi nizione che Enzo Ferrari diede di Clay Regazzoni: “tormentato e tormentoso”. Due aggettivi che descrivono perfettamente anche il nostro nove vero.

I numeri, dicevo, promuovono Immobile. Nelle ultime sette partite da titolare, ovvero da quando Mancini ha compiuto la scelta defi nitiva, cinque gol e due assist più l’incrocio dei pali colpito contro l’Austria. Nelle partite ufficiali, tra impegni mondiali e europei, Ciro ha una media gol di 0,40 che ne fa uno dei prImi centravanti della storia della Nazionale.

Avrei potuto risparmiare tante parole - e addirittura qualche pensiero, un lusso di questi tempi di memorabile stupidità digitale - se avessi tenuto conto di una ripetuta esposizione alla gogna degli azzurri quando le cose vanno bene, quando la Nazionale funziona e vince. Oddio, qualcosa dovrò pur dire, medita il critico. Nel 2006 la vittima preferita fu Buffon, non per il gioco in campo, ma per quello fuori campo - le scommesse - e illustri penne tentarono di mortifi carlo fino a Berlino, e anche dopo, se è vero - com’è vero - che gli fu negato il Pallone d’oro toccato, nella storia, a un solo portiere, Jascin; fortuna che in seconda battuta ne risultò meritevole Cannavaro. Ciro è cosí, come inventare il capro espiatorio preventivo. Tocchiamoci. Un colpevole, un “l’avevo detto, io” ci sta sempre.


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