Italia, tutte le ombre di Spalletti: cosa c'è dietro lo sfogo del ct

L'Non ha ancora trovato la formula ideale, cambia e si adatta in base alle partite, ma il gioco non decolla
Fabrizio Patania
9 min

Lucio, nel labirinto dei suoi pensieri, si sente incompreso o forse assediato. Vive un tormento interiore. Non è ancora diventato il ct ideale dei 60 milioni di commissari tecnici italiani. Di tempo ne ha poco e la pressione sale con l’importanza del risultato. Avverte la responsabilità. Vorrebbe ricambiare l’amore dei tifosi, rendendoli orgogliosi. È presto. La scorsa notte a Lipsia, raccogliendo l’invito di Gravina, è persino riapparso sul campo per andarli a ringraziare sotto la tribuna. Tutto ok. Sintonia ricambiata, ma l’Italia non ha ancora fabbricato il calcio e la bellezza a cui pensava. Un tarlo irrisolto, produce nervosismo. Non è l’unico. Il dilemma tattico lo infastidisce e lo ha fatto scattare per la prima volta, a qualificazione raggiunta, con stampa e televisioni. La tensione di una partita pazzesca, risolta dal gol di Zaccagni al minuto 98, in modo forse casuale, attaccando con quattro punte e rischiando di scoprirsi. Prendere il secondo sarebbe stato esiziale. Il ct si trovava sull’orlo dei ripescaggi e veniva dal cappotto con la Spagna. Lo sbrocco stava montando da giorni, era solo tenuto nascosto dal continuo combattimento con se stesso. Chissà non si sia liberato e non cominci adesso il suo vero Europeo.   

Italia, metro di giudizio 

Le aspettative sono alte, forse troppo e collegate alla tradizione, non al livello attuale del calcio italiano. Lucio, salito in corsa e centrato il traguardo (per niente scontato) dell’Europeo, pensava che tutti indossassero la stessa maglia azzurra. Non è andata così, anche se non sono più i tempi di Bearzot, di Zoff o di Lippi. Nel taglia e cuci dei suoi ragionamenti, comincia ad avvertire diffidenza, scetticismo. Se affronta con coraggio le Furie Rosse, gli rimproverano presunzione. Se modifica l’assetto davanti ai marpioni capitanati da Modric, gli dicono che ha pensato solo a difendersi. Così diventa complicato contenere il disappunto. Prudenza? Ma quale prudenza? È saltato su, come è successo nel salotto di Sky Sport, quando Paolo Condò e Fabio Capello gli hanno chiesto del cambio di modulo. E il patto con lo spogliatoio? Ma quale patto? Apriti cielo. 

Spalletti, il confronto 

Ombre e fughe di notizie inesistenti dal ritiro e dal campo blindatissimo di Iserlohn, circondato da teloni e cespugli, hanno attraversato la conferenza stampa di mezzanotte. Eppure è diventato quasi impossibile indovinare la formazione. Figuriamoci le analisi tattiche sviluppate all’interno dello spogliatoio. La domanda di Dario Ricci (collega di Radio 24) ha finito per scatenarne la reazione. Per un attimo Spalletti ha ruggito come ai tempi in cui a Trigoria infuriavano le polemiche legate a Totti e diventava una belva. All’epoca li chiamava riportini. «Parlo sempre con i miei giocatori. Devo saper ascoltare con le loro orecchie e vedere con i loro occhi. Non è un’interpretazione, glielo hanno raccontato. Che ci sia nell’ambiente interno uno che racconta le cose fuori fa male alla Nazionale». Il ct pensava che certe indiscrezioni fossero uscite dallo spogliatoio, dall’ambiente federale o dall’albergo che ospita il ritiro tedesco. Caccia alla talpa. Persino Gravina e Brunelli, seduti in prima fila, hanno compreso in fretta l’equivoco e sono intervenuti per ammorbidire il caso lungo il tragitto che alle due di notte riportava l’Italia, di rientro a Dortmund, verso l’aeroporto di Lipsia. Telefonata, scuse e chiarimento. 

Si cambia 

La cronaca notturna, divertente perché figlia di un corto circuito da tensione agonistica, ha svelato in realtà quanto Spalletti stia navigando a vista e si stia sforzando di adattarsi, dal punto di vista tattico, ad ogni esigenza. Non è integralista, il contrario. Calcola gli avversari, si mette a specchio. Cerca i duelli individuali. Lo ha dimostrato all’atto delle convocazioni, nelle due amichevoli di preparazione e nelle tre partite del girone. Difesa a quattro oppure a tre? Giochiamo con due moduli, facciamo o proviamo tutto quello che ci serve. Il problema semmai è un altro. Non ha ancora trovato la formula ideale su cui puntare stabilmente.  Il suo marchio riconoscibile di fabbrica in azzurro dovrebbe essere la capacità di sorprendere. Il gioco, lo ammetterà, ne sta risentendo. Così a Lipsia ha spiazzato tutti, nessuno se lo aspettava o lo aveva capito, cambiando uomini e modulo a poche ore dalla partita con la Croazia. Fuori tre giocatori (Chiesa, Cambiaso, Cristante a beneficio di Raspadori, Darmian e Pellegrini) e variazione di modulo (3-5-2, non 4-2-3-1) rispetto all’assetto provato nella rifinitura di Iserlohn. Nessun patto con lo spogliatoio, per come era stato declinato o interpretato. Solo l’intenzione di andare incontro alle abitudini dei suoi giocatori. 

Ragioni tattiche  

Spalletti aveva provato la difesa a tre anche sabato, nel primo allenamento di preparazione alla Croazia. La tentazione esisteva. È l’assetto preferito dal blocco dell’Inter, in una partita decisiva e così complicata poteva essere la soluzione congeniale. Il ct lo aveva spiegato prima della partita ai microfoni di Sky Sport. Due motivazioni principali. Ritrovare pericolosità in attacco inserendo Raspadori (un suo fedelissimo) vicino al centravanti. Scamacca aveva sofferto troppo nelle prime due partite e l’alternanza con Retegui era stata programmata, altrimenti il centravanti dell’Atalanta non sarebbe entrato con la stessa energia. Spalletti, come raccontano a Napoli, non molla i suoi uomini. Jorginho, criticatissimo e sostituito con la Spagna, è rimasto al centro dell’Italia. «Con un altro allenatore forse non avrei giocato» ha raccontato con sincerità Di Lorenzo, confermato titolare dopo l’imbarcata con Nico Williams. Ecco la vera chiave tattica da analizzare. Quando l’Italia difende a quattro, uno dei due esterni offensivi (sarebbero stati Chiesa e Cambiaso) si deve abbassare a turno come quinto. Lucio temeva i “tagli” verso il centro di Sucic e Pasalic e le discese di Gvardiol e Stanisic. Non si sentiva sicuro e allora ha cambiato formazione. Meglio mettersi a 3 con Di Lorenzo e Dimarco larghi per “riconoscere” gli esterni della Croazia e non perderli di vista. Qualche metro di campo lo ha perso. 

Crescita

Lucio avrebbe voluto più coraggio in certe fasi della partita e continua a reclamare un palleggio pulito per uscire dallo “stretto” e dai duelli lanciando in campo aperto. L’Italia, troppo timida, non ci riesce. Dimentica le proprie qualità, commette errori illogici. Non dipende dall’ipotetico patto con lo spogliatoio o dal sistema di gioco, ma dall’insicurezza. Conta il principio del pallone da infilare nello spazio che si crea tra i singoli avversari e non tra le linee. Non facile da scrivere e da spiegare. Ecco la battaglia eterna di Spalletti con i giornalisti: il calcio non è semplice, divulgarlo ancora meno. 


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