Corvino esclusivo: "Italia, non sono io il colpevole"

Lo storico ds del Lecce contrattacca: "Era compito mio dare intensità alla Nazionale? Quando si sbaglia non si cercano altrove i responsabili"
Corvino esclusivo: "Italia, non sono io il colpevole"© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni

L’ho lasciato sbollire. «Panta, sentiamoci domani pomeriggio, è meglio per tutti. Se riporto anche solo in parte e bippati i tuoi due audio ci vengono a prendere». Così incazzato non l’avevo mai sentito: dopo la conferenza stampa di Spalletti, Pantaleo Corvino, 74 anni, 49 da dirigente sportivo, era fuori di sé dalla rabbia. Intorno alle 15 e 30 di ieri - lui a Rimini, ospite dell’evento organizzato da Master Group - l’ho richiamato. L’umore era quello del giorno prima, i toni un filo più urbani. «Il mio è un grido di dolore. In tutte le trasmissioni mettono in evidenza il risultato della nostra Primavera, gli undici stranieri, come se fossimo il male assoluto, l’origine del fallimento della Nazionale. Ma stiamo scherzando? Io l’untore? Questa demonizzazione del Lecce è un insulto all’intelligenza. Io non sono l’untore e il nostro è un modello che andrebbe seguito».

Spiegarlo alla gente non è semplice, soprattutto oggi.

«Lui (...) ha parlato di mancanza di intensità. Ma l’intensità alla squadra chi la deve dare? Sei anni fa Conte, che aveva anche gente che giocava al contrario, ci mostrò qualcosa di diverso. A differenza di altri, io non voglio colpevolizzare nessuno, non mi interessa e non porta a nulla di buono. Nel calcio, come nella vita, si sbaglia e chi sbaglia non deve scaricare sugli altri, ma assumersi la paternità dell’errore. E eventualmente, se lo ritiene opportuno, chiedere scusa».

È evidente che ti riferisci a Spalletti.

«Che in Germania non ha fatto lo Spalletti per come lo conosciamo e stimiamo. Può succedere, ci mancherebbe. Ha avuto solo nove mesi per entrare in un ruolo nuovo, quello di manager. Non possiamo sapere cosa abbia trovato. Il punto è un altro, troppe le cose che si dimenticano...».

Quali, ad esempio?

«Il Lecce in A ha tre giocatori che provengono dalla Primavera, e sono tre titolari. Falcone, Baschirotto, Piccoli, Gallo e Sansone sono italiani. Il Lecce non può permettersi gli italiani per i costi eccessivi. Devo difendere il nostro lavoro, la società, il territorio. Vogliamo parlare dei talenti locali?».


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Parliamone.

«I grandi club vengono qui e fanno razzìa. L’aridità del nostro calcio non deriva dalle politiche del Lecce, ma da quelle della Federcalcio e della Lega, dei club. E non da ieri. Deriva dalla mancanza di strutture, campi, centri di addestramento e dall’impreparazione degli allenatori del settore giovanile. Manca anche la volontà da parte della federcalcio di imporre percentuali dei ricavi da destinare alla formazione dei giovani».

I virtuosi sareste voi.

«La nostra virtù è andare in giro per il mondo a cercare giocatori da portare in prima squadra».

Quindi la Primavera del Lecce campione d’Italia con undici stranieri non costituisce una parte del problema.

«Corvino non è il problema, io mi considero una soluzione. In altri tempi, quand’ero a Casarano, tirai fuori Miccoli, a Lecce Pellé, a Firenze Chiesa. Casarano campione d’Italia Berretti. Lecce sette titoli, Fiorentina, cinque. Certo, puoi pure aggiungere Vucinic, Ledesma, Vlahovic. Sono in questo mondo da quasi 50 anni, 700 partite in A, forse qualcosa avrò capito, che dici? Se il meccanismo non funziona è sempre utile guardarsi dentro, non attorno. Io sono partito dalla terza categoria...».

E sei arrivato alla Champions, a Firenze.

«Per quattro edizioni. Ho fatto la B cinque volte, ho dovuto vincere tutti i campionati e adesso mi sento dare dell’untore. Non devono venire a rompermi i coglioni. Conosco la base, ho fatto il responsabile del settore giovanile, il supervisore, quanti miei colleghi possono vantare lo stesso percorso?».

Dove vuoi arrivare?

«Nominano le commissioni e secondo te chiamano Corvino? Si affidano a gente senza esperienza specifica. Ivan, sono stanco di tutte queste accuse».


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Cosa avresti voluto ascoltare?

«Avrei voluto che l’allenatore e i responsabili federali si fossero esposti ammettendo di aver sbagliato. Altro che inseguire colpevoli esterni, basta con la litania degli stranieri che portano via il posto agli italiani. I giovani italiani bravi ci sono e vincono europei e mondiali di categoria. Noi siamo diventati campioni del mondo nel 2006 quando vigeva la stessa legge sugli stranieri e le politiche federali non erano affatto diverse. Perché non dire “ho sbagliato, abbiamo sbagliato”? Ma chi vogliamo prendere in giro? Lascino in pace il Lecce e chi lavora bene. Negli ultimi trent’anni siamo l’unica società del centrosud ad aver portato, con italiani e stranieri, tre titoli nazionali. Un modello realizzato con la condivisone del presidente. Noi coltiviamo l’arte del fare, non l’arte del parlare. Vogliamo affrontare il tema della sostenibilità?».

Stai facendo tutto tu. Tocchiamolo.

«Il monte ingaggi è di 8 milioni e mezzo a patrimonializzazione, inoltre siamo la squadra più giovane d’Italia. E poi crescita del settore giovanile e delle strutture. Facciamo tutto il campionato con otto milioni e mezzo, capisci?».

Il tuo Vlahovic, da solo, ne costa dodici.

«Mi hanno insegnato a non guardare in casa degli altri. Ma io sono per la reciprocità. A Lecce compro stranieri perché non voglio giocare con gli scarti delle grandi squadre».

Gravina ha anticipato le elezioni federali.

«Non do consigli. Vanno però cambiate le regole d’ingaggio. Servirebbero gli Stati generali aperti al pubblico, così si capirebbe chi è in buona fede e chi no. Vuoi un titolo?».

Mi manca giusto questo.

«Urlo di dispiacere».

Credo di riuscire a fare di meglio, Panta


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L’ho lasciato sbollire. «Panta, sentiamoci domani pomeriggio, è meglio per tutti. Se riporto anche solo in parte e bippati i tuoi due audio ci vengono a prendere». Così incazzato non l’avevo mai sentito: dopo la conferenza stampa di Spalletti, Pantaleo Corvino, 74 anni, 49 da dirigente sportivo, era fuori di sé dalla rabbia. Intorno alle 15 e 30 di ieri - lui a Rimini, ospite dell’evento organizzato da Master Group - l’ho richiamato. L’umore era quello del giorno prima, i toni un filo più urbani. «Il mio è un grido di dolore. In tutte le trasmissioni mettono in evidenza il risultato della nostra Primavera, gli undici stranieri, come se fossimo il male assoluto, l’origine del fallimento della Nazionale. Ma stiamo scherzando? Io l’untore? Questa demonizzazione del Lecce è un insulto all’intelligenza. Io non sono l’untore e il nostro è un modello che andrebbe seguito».

Spiegarlo alla gente non è semplice, soprattutto oggi.

«Lui (...) ha parlato di mancanza di intensità. Ma l’intensità alla squadra chi la deve dare? Sei anni fa Conte, che aveva anche gente che giocava al contrario, ci mostrò qualcosa di diverso. A differenza di altri, io non voglio colpevolizzare nessuno, non mi interessa e non porta a nulla di buono. Nel calcio, come nella vita, si sbaglia e chi sbaglia non deve scaricare sugli altri, ma assumersi la paternità dell’errore. E eventualmente, se lo ritiene opportuno, chiedere scusa».

È evidente che ti riferisci a Spalletti.

«Che in Germania non ha fatto lo Spalletti per come lo conosciamo e stimiamo. Può succedere, ci mancherebbe. Ha avuto solo nove mesi per entrare in un ruolo nuovo, quello di manager. Non possiamo sapere cosa abbia trovato. Il punto è un altro, troppe le cose che si dimenticano...».

Quali, ad esempio?

«Il Lecce in A ha tre giocatori che provengono dalla Primavera, e sono tre titolari. Falcone, Baschirotto, Piccoli, Gallo e Sansone sono italiani. Il Lecce non può permettersi gli italiani per i costi eccessivi. Devo difendere il nostro lavoro, la società, il territorio. Vogliamo parlare dei talenti locali?».


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