Roma, legittima difesa

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Roma, legittima difesa© AS Roma via Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Al di là del muro, anzi del Murinho - nell’occasione ha perso la prima o e soltanto quella - alzato per evitare l’annunciata tempesta perfetta, ci sono l’applicazione e l’organizzazione di una squadra che fino all’ultimo istante ci ha messo cuore, polmoni, gambe, fasciature supplementari, testa e cicatrici. Voleva i quarti di Europa League, la Roma, e li ha ottenuti giocando a una porta sola, quella di Rui Patricio, ma rischiando pochissimo. Come avrebbe potuto serenamente ammettere Roberto Mancini con una delle sue più classiche battute, «li abbiamo chiusi nella nostra metacampo». Il preziosissimo capitale di due gol segnati all’andata Mou l’ha protetto con intelligenza e la solita lucidità, anticipando tutte le mosse di Alguacil e permettendosi una raffinata mourinhata: non potendo seguire dalla panchina il derby di domenica, poiché squalificato, ha lasciato che fosse il suo secondo, Salvatore Foti - ieri Fotinho - a dirigere dal campo, in piedi. José si è limitato a pochi interventi, più che altro richieste di maggiore attenzione sui falli rivolte al quarto uomo. Che stavolta non l’ha invitato ad andare a casa. L’indisponibilità all’ultimo di Matic ha certamente privato la manovra degli intervalli di palleggio necessari alla squadra per rifiatare: Wijnaldum non è stato purtroppo in grado di sostituirlo degnamente. Anche l’impiego di Belotti al posto di Abraham è stato nella direzione della lotta e del sacrificio su tutte le palle. Le prime, le seconde e anche le terze e le quarte. I migliori, i soliti: Smalling il respingente massimo, Ibañez e Mancini che, as usual, non se l’è proprio sentita di rinunciare a un giallo dopo pochi minuti: il cartellino è per lui un fedelissimo compagno di viaggio. La Joya è rimasta nello scrigno. E alla fine hanno pianto i baschi.

Infantino presidente neo

Criticato, pur se in colpevole ritardo, per il Mondiale dei suoi amici qatarini, antipatico torneo autunnale che ha devastato la stagione delle leghe europee, il presidente neo della Fifa Gianni Infantino se l’è chiesto, giuro che l’ha fatto: «Perché, se in Italia annunciano una Supercoppa in Arabia con quattro squadre, nessuno dice niente?».
Trascorrendo molto tempo a Doha, King Gianni è facile alle distrazioni: non ha saputo che dalle nostre parti abbiamo censurato anche la Supercoppa in Arabia a due squadre. E l’avremmo fatto anche se fosse stata a una sola, dopo aver visto l’angosciante Inter-Milan a Riad. Ma Infantino, confermato ieri a Kigali, capitale del Ruanda (scelta elettorale, un favore alla federcalcio africana), è riuscito a dire anche di peggio, paragonando la sua rielezione al genocidio ruandese: «Chi sono per arrendermi» ha dichiarato. «Ciò che questo Paese ha sofferto, e come questo Paese si è rialzato, è fonte d’ispirazione per il mondo intero. Quindi, di certo non potevo arrendermi io». L’inglese Telegraph l’ha spianato: «Infantino dimostra di non essere adatto a ricoprire alcun ruolo, figuriamoci a governare l’unico sport veramente globale». God Save the Telegraph.


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