La 11 di Giuliano Fiorini: una maglia immortale

In un Olimpico gremito, una rete dell'indimenticato bomber laziale portò i biancocelesti agli spareggi-salvezza
La 11 di Giuliano Fiorini: una maglia immortale
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Ci sono calciatori che per entrare nel cuore dei tifosi non hanno bisogno di vincere trofei o risultare fuoriclasse assoluti. A volte basta avere un cuore grande, un atteggiamento e un viso come quello di Giuliano Fiorini per rimanerci in eterno. Attaccante modenese classe '58, ha avuto una discreta carriera, niente di eccezionale, ma comunque il necessario per approdare a Roma, sponda biancoceleste, nell'estate 1985.
Luigi Simoni guida una Lazio reduce da una rovinosa retrocessione nel campionato precedente: un gruppo che non riesce a risalire la china, centrando solamente un modesto 11° posto nel 1985-86.

DAL CAOS ALLA MAGLIA BANDIERA

Fiorini inizia con il piede giusto marchiando a fuoco il suo debutto con l'aquila sul petto. Il 2 maggio però, alla vigilia della 32ª giornata, scoppia il caos Totonero: si prospetta un'estate tumultuosa per il popolo laziale, la squadra è coinvolta e si teme il peggio. L'incubo della Serie C può diventare realtà.
Nel frattempo la Lazio si ritrova senza materiale tecnico. Terminato il contratto con lo sponsor NR, il presidente Calleri decide di rintrodurre la divisa della stagione 1982-83, quella della rinascita: la maglia bandiera con l'aquila stilizzata. La società si accorda con l'azienda Tuttosport e prende così vita la nuova casacca. Fiorini e compagni non sanno ancora che quella rimarrà la rappresentazione della più autentica e viscerale lazialità, da lì all'eternità. La squadra inizia il campionato di Serie B con una pesante penalizzazione da scontare: si parte da -9 in classifica.
La Lazio del meno nove intraprende il suo cammino impossibile verso la salvezza, sulla panchina non siede più Simoni, ma un tecnico viareggino reduce dall'esperienza a Lecce: Eugenio Fascetti.
Il campionato scorre inesorabile, i -9, nell'epoca dei due punti per vittoria, pesano come un macigno, in un campionato che, se non ci fosse stata la pesante sanzione, avrebbe visto i capitolini lottare fino all'ultimo per un posto in Serie A. La penultima giornata porta i biancocelesti a giocare a Pisa contro una squadra che chiuderà la stagione in testa, a pari merito col Pescara. I ragazzi di Fascetti cadono sotto i colpi di Piovanelli e Cecconi e, per mantenere la categoria e non sprofondare nel baratro, bisogna battere il Vicenza. L'ultimo atto regala un incastro di partite che coinvolgono passionalmente tante squadre in coda. La Lazio, insieme al Taranto, occupa la penultima posizione a quota 31, un punto sopra ci sono Catania, Vicenza, Sambenedettese e Campobasso.

UN BOATO ASSORDANTE

Il 21 giugno 1987 lo Stadio Olimpico di Roma si trasforma in un trionfo di bandiere bianco e celesti: 62mila anime sono pronte a gridare, sostenere e spingere una squadra che non è mai stata abbandonata. Il popolo laziale continua a fare quello che ha fatto per l'intera stagione: supportare un gruppo di ragazzi che, per la storia della società e per le gesta che ricordano tutti i tifosi, non sono meno importanti dei Chinaglia e dei Wilson, dei Signori e dei Casiraghi, dei Nesta e dei Veron. Per i laziali, la squadra del meno nove è formata da un gruppo di eroi, con a capo un allenatore dal carisma unico.
Terraneo, Filisetti, Acerbis, Podavini, Gregucci, Camolese, Mandelli, Caso, Magnocavallo, Pin, Fiorini. Rigorosamente in ordine numerico, è questo l'undici che deve battere il Vicenza. Senza dimenticare i ragazzi seduti in panchina: Ielpo, Poli, Piscedda e Rizzolo.
La gara sembra un tiro a segno, gli ospiti sono barricati nella loro area formando un fortino invalicabile per difendere un pareggio preziosissimo.
Sugli spalti cresce l'ansia, i risultati dagli altri campi portano ai dovuti calcoli: la Lazio con una vittoria va a fare gli spareggi. Ai laziali va bene, benissimo, ma c'è un problema: il gol non arriva. A 25' dalla fine il Vicenza rimane in inferiorità numerica in seguito all'espulsione di Montani. A 9' dal termine l'apoteosi: un urlo che, per quanto atteso, non può rimanere strozzato in gola; un boato che si narra sia stato senza precedenti, rimbomba imperioso nelle aree limitrofe ad un Olimpico ancora senza coperture. Podavini effettua un tiro-cross, Giuliano Fiorini si gira e, con una puntata, batte Dal Bianco. L'indimenticato bomber corre come un pazzo sotto la Curva Nord, va a prendersi l'abbraccio di un intero popolo, va a prendersi la gloria con indosso quella maglia con l'aquila stilizzata sul petto, una maglia, la bandiera del numero 11, che rimarrà immortale per l'eternità.


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