Bruno Giordano: "La Lazio il mio sogno"

Dalle 16 stagioni nella Capitale con i colori del cuore, ai trionfi a Napoli con Maradona. L'intervista esclusiva al doppio ex per eccellenza della sfida dell'Olimpico di stasera.
Bruno Giordano: "La Lazio il mio sogno"
8 min

ROMA - Protagonista assoluto con la maglia della Lazio negli anni ’70 e ’80, vincitore di uno scudetto e di una Coppa Italia col Napoli insieme al suo amico Maradona, Bruno Giordano è il doppio ex per eccellenza di questa sfida.

Lazio-Napoli, cosa rappresenta per te questa sfida?

"È la mia vita calcistica. Passione e fede mi portano dalla parte della Lazio, squadra che tifavo da bambino e nella quale ho avuto la fortuna di crescere calcisticamente e fare l’esordio tra i professionisti. Sono stati 16 anni lunghissimi, che mi hanno visto arrivare a 13 anni a Tor di Quinto con un provino, poi partite su partite: dagli esordienti fino alla prima squadra. Diciamo che la Lazio è la mia casa, una casa dalla quale sono lontano ormai dal 1985. Sono tanti anni, ma è come se fosse ieri perché ho vivi i miei ricordi. Chiaramente quando alla Lazio si accosta il Napoli viene fuori l’aspetto sportivo, quello che mi ha consentito di vincere un campionato che, invece, mi è mancato a Roma. Con lo scudetto a Napoli ho provato una gioia immensa. Sotto l’aspetto professionale, l’azzurro mi ha ripagato di quello che, purtroppo, la Lazio non mi ha potuto dare negli anni".

Da Trastevere alle giovanili della Lazio, tanta strada fatta insieme a Manfredonia, Di Chiara e Agostinelli. Che ricordi hai di quell’esperienza nelle giovanili biancocelesti?

"Mister Maestrelli il giovedì ci chiamava per la partitella con la prima squadra: era un sogno vedere da vicino quei giocatori fantastici. All’inizio avevamo paura, poi ci hanno accolto alla grande ed è diventato tutto più semplice. Col tempo ci hanno fatto sentire importanti e quelle partite sono diventate parte della nostra vita. Una volta i grandi non riuscivano a farci gol, arrivò il buio, il mister si inventò un rigore e appena Chinaglia segnò, fischiò subito la fine. Porto un ricordo bellissimo. Quella partita durò forse più di due ore. Oppure, quando facevo il raccattapalle in un Lazio-Bologna con la neve, vincevamo e cercavo di perdere tempo facendo finta di non vedere il pallone finito nella neve. La domenica andavo in curva con Manfredonia, Di Chiara e Agostinelli dopo le partite degli allievi. Da quella curva sono passato sul prato verde. Sono sensazioni che a distanza di anni porto sempre nel cuore: ho visto realizzato il sogno che avevo da bambino".

Che ricordo hai del tuo debutto con la prima squadra?

"Un esordio così non si scorda mai. Segnai all’ultimo minuto e permisi alla Lazio di vincere a Genova contro la Samp. Ricordo gli abbracci e l’affetto di tutti, soprattutto di Re Cecconi. Quel giorno mi spogliai vicino a lui e appena rientrammo nello spogliatoio mi abbracciò: era quasi più contento di me. Addirittura quando andò via Chinaglia giocai le ultima partite con la numero 9, se penso oggi alla responsabilità che avevo nel portare quella maglia e a cosa potesse provare la gente nel vederla sulle spalle di un ragazzino di Trastevere... forse fu proprio l’incoscienza di quell’età che mi permise di farcela. Inoltre, nascevo numero 10, non avrei mai pensato di fare l’attaccante, è stata una fatalità quella di fare il centravanti. Andato via Giorgio, Maestrelli mi diede la numero 9. Ho cominciato a segnare, ma sempre mantenendo le mie caratteristiche: mi vedevo un giocatore da assist più che da gol".

E ricordi il primo gol in un derby?

"Vincemmo 1-0 (Lazio-Roma del 28 novembre 1976, ndi), non tanto per il mio gol, anche se molto bello, ma soprattutto per le parate di Pulici. Felice mi ha permesso di essere ricordato negli anni. Sapevamo che il mister stava male, ma erano ancora giorni di speranza. Tutti quanti dedicammo la vittoria al Maestro. Quattro giorni dopo, purtroppo venne a mancare. La domenica successiva segnai a San Siro e ancor di più, in quell’occasione, quella rete fu dedicata in tutto e per tutto a lui".

Nonostante il tuo talento cristallino, non sono stati anni facili per te e per la Lazio...?

"A livello personale avrei potuto fare meglio se ci fosse stata una squadra più all’altezza, magari come quella degli ultimi anni, soprattutto per il modo di giocare che si usa oggi, qualche gol in più l’avrei fatto. Nelle mie annate ci siamo salvati anche all’ultima giornata, nel ’76 a Como, dopo l’addio di Chinaglia, grazie al mio gol e a quello di Badiani. Nel 1984 alla 30a con una mia doppietta a Pisa (2-2). Per un attaccante, come per tutta la squadra, non è facile giocare per salvarsi. Negli ultimi 40 anni penso che il mio sia stato il periodo più difficile per un attaccante della Lazio. Inoltre, si segnava pochissimo in Serie A. A ogni modo, il tifoso può amare sia i giocatori che vincono i campionati, sia quelli che riescono a salvare una squadra. Questo vale per me, come per tanti altri miei compagni come D’Amico o Manfredonia".

Nel ’78 uno spettacolare Lazio-Lanerossi Vicenza finì 4-3, con la tua unica tripletta in Serie A e la doppietta di Paolo Rossi. Un amico dentro e fuori dal campo per te...

"C’era una bella amicizia con Paolo, ho avuto la fortuna di conoscerlo nel ’75 con l’Under 21. Ricordo il mio esordio con la Nazionale nel ’78 all’Olimpico: vincemmo 1-0 con la Spagna e fece gol lui. Nel 79’, poco prima del disgraziato periodo della squalifica che ci ha unito, e che ancora a distanza di 40 anni non riesco a spiegarmi, facemmo una trasmissione sportiva insieme che si chiamava 'Goleador'. È anche venuto al mio matrimonio, facemmo le vacanze insieme per alcuni anni anche con Nicola Zanone. Per quanto riguarda il campo, c’è stata sempre un’intesa magica: giocare con lui era semplice, non era solo un finalizzatore, ma anche uno che sapeva dare del tu al pallone. Possedeva il dribbling, andava sul fondo, dialogava, era un giocatore completo, non solo da area di rigore. Oltre al talento, la forza di Paolo è stato il suo stato d’animo, il suo perenne sorriso: anche nei momenti di difficoltà, io non capivo come facesse. Quel sorriso è stato la sua forza e, dopo lo stop, è stato ripagato da quel Mondiale straordinario che ci ha fatto gioire tutti quanti. Mentre io ho potuto vivere quell’avventura a Napoli che mi ha permesso di giocare con il più grande calciatore di tutti i tempi, Maradona".

A proposito di Maradona, com’è stato viverlo da vicino?

"Lo conobbi nel ’79 quando ci affrontammo con le nazionali, ci scambiammo qualche battuta e da lì istintivamente si è creato il nostro rapporto. Nel 1983, giocavo ancora alla Lazio, mi infortunai e mi mandò un telegramma per darmi il suo in bocca al lupo. Diego mi ha voluto al Napoli. Con lui ho vissuto delle esperienze straordinarie. Mi accolse come un fratello nella sua casa. Era una persona generosa, uno che a Natale riempiva i pulmini di giocattoli e li mandava negli ospedali per donarli ai ragazzi meno fortunati di Napoli".

Con il Napoli uno scudetto da sogno e la Coppa Italia nel 1987. Che ricordi hai di quell’annata?

"Mi ricordo che dopo la domenica dello scudetto, rimasi chiuso in casa. Quando il giovedì finalmente uscii, vidi tutta la città colorata d’azzurro, con tutti i murales della squadra e dello scudetto: fu una sensazione bellissima. Poi qualche giorno dopo vincemmo anche la Coppa Italia, di cui fui capocannoniere con 10 reti, coronando un’annata incredibile che a Napoli ancora ricordano con grande orgoglio".


© RIPRODUZIONE RISERVATA