Roma-Inter, il doppio ex Collovati: "Stupendi i miei anni nella Capitale"

Ricordi e aneddoti dell'ex difensore: "Che impresa nel 1987-88: terzi alle spalle del Milan e del Napoli di Maradona. Bruno Conti il miglior calciatore con cui ho giocato in giallorosso"
Roma-Inter, il doppio ex Collovati: "Stupendi i miei anni nella Capitale"
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Fulvio Collovati, campione d’Italia col Milan della stella e campione del mondo nel 1982 con l’Italia, nella seconda parte della carriera ha indossato per due anni la maglia della Roma. Ne parla in questa intervista, rivelando aneddoti e suggestioni del tutto inedite.

Fulvio, lei è un doppio ex prestigioso di Roma e Inter. Calcisticamente, però, al grande calcio si affacciò col Milan.

"Sono nato nel settore giovanile rossonero: da bambino tifavo per il Milan. Adesso, da quel punto di vista, sono piuttosto astratto avendo vissuto per troppo tempo nel mondo del calcio, che oggi commento cercando di essere fuori da ogni logica di parte. Da bambini si è tifosi, da adulti si è sportivi: è una cosa completamente diversa".

Lei e Franco Baresi sembrava che doveste diventare due colonne dei rossoneri.

"Lui in effetti lo è stato. Il mio percorso si differenziò più che altro per via della Nazionale, dove ho cominciato a giocare prima perché sono tre anni più grande. Il fatto è che il Milan, nel 1980, retrocesse per via del calcio scommesse e quell’anno io andai in Serie B senza problemi. Con l’Italia giocavo le partite di qualificazione ai Mondiali del 1982 il sabato pomeriggio, raggiungevo il Milan in ritiro intorno all’una-due di notte e poi il giorno dopo giocavo ancora alle 14.30. Quando nel 1982 retrocedemmo sul campo si sarebbe riproposta la stessa situazione. Bearzot mi disse che in quel modo avrei perso la Nazionale: a quel punto, insieme alla società, presi la decisione di lasciare il Milan. I tifosi non me l’hanno mai perdonato".

E quindi nel 1982 approdò all’Inter. Che ambizioni avevano i nerazzurri dei primi anni Ottanta?

"L’Inter era uno squadrone. Se c’è un rammarico nella mia carriera è legato a quegli anni passati all’Inter senza vincere. C’erano giocatori come Altobelli, Serena, Rummenigge, Mueller, Bagni, Bergomi, Ferri, Zenga".

Cosa mancò a quella squadra?

"Forse non avevamo una guida: un allenatore per me conta molto".

Nel 1987, dopo un anno a Udine, passò alla Roma.

"In realtà sarei dovuto arrivare prima. Lasciai l’Inter per dei contrasti con la società, che dapprima mi 'parcheggiò' a Udine. Poi venni a Roma".

Che programmi aveva la società all’epoca?

"L’obiettivo, che raggiungemmo, era quello di entrare nelle Coppe. Era una buona squadra: oltre a me c’erano Boniek, Voeller e Giannini che quell’anno fece una stagione straordinaria. Arrivammo terzi alle spalle del Milan di Sacchi e del Napoli di Maradona: per me una vera impresa che fu sottovalutata dai tifosi".

Con Signorini, col quale successivamente giocò anche a Genova, che coppia formavate?

"Quando sbagliavamo qualche partita ci dicevano che eravamo due lenti a contatto…".

La seconda annata a Roma non andò così bene. Cosa non funzionò in quella stagione?

"Fu errata la partenza, a iniziare dalla sconfitta che subimmo al Flaminio contro il Norimberga quando Liedholm fece giocare Andrade che veniva da un mese di vacanza. E a Roma, quando parti male, difficilmente ti riprendi. Fu tutto il contesto ad andare in confusione".

È vero che Renato aveva avuto mille donne?

"Le mille donne sono una favola (ride, ndr). Scherzando, quando eravamo in pullman, io glielo dicevo: 'A Rena’ tu stai giocando alla grande ma stai attento che qua, se continui a uscire, appena sbagli una partita te la fanno pagare'. E infatti fu così: tra la vita di Roma e qualche match andato male cominciarono a prenderlo di mira".

Chi è stato il giocatore migliore con cui ha giocato a Roma?

"Se devo dirne uno scelgo Bruno Conti al quale sono legato. Ma poi c’erano anche Giannini, Voeller, Manfredonia, lo stesso Desideri".

Cosa ha significato Roma per lei? Ha mantenuto dei legami con la città?

"Nonostante ci abbia giocato solo due stagioni, a Roma ho abitato quattro anni. Le prime due annate che ho fatto a Genova, anche se avevo casa a Milano, ho continuato a viverci: questo per dire quanto l’ho amata e quanto la ami tuttora. Ho tanti amici lì, come Tardelli, Brio, Tempestilli: persone alle quali sono legato affettivamente. Prima della pandemia a Roma venivo due volte al mese".

L’attaccante che l’ha messa in difficoltà più di tutti?

"In 18 anni di carriera ne ho marcati tanti, a cominciare da Boninsegna e Bettega. In assoluto quelli che soffrivo di più erano quelli rapidi, veloci e forti tecnicamente, come Trevor Francis: quando lo marcavo mi faceva sempre gol e mi dava un fastidio enorme. E poi Bruno Giordano".

Delle maglie che ha indossato ce n’è una che ha sentito più sua delle altre?

"A Roma ho dei ricordi indelebili, a Genova sono stato molto bene. Ma poi come faccio a dimenticare le milanesi? Farei dei torti, non voglio stilare classifiche".

C’è un aneddoto che conoscono in pochi della sua esperienza romana che ci vuole raccontare?

"Ne ho uno legato a Dino Viola. Nel tragitto in pullman che ci portava da Trigoria all’Olimpico gioiva quando cominciava a intonare un coro contro la Juventus atteggiandosi a direttore d’orchestra. E tutti noi cantavamo... Il presidente era una persona straordinaria, di grande lealtà, che ricordo con grande affetto".


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