Roma-Napoli, Nela: "Col vento in faccia resto me stesso"

Il doppio ex, undici anni in giallorosso e due in azzurro, racconta tutto: "Gioie, dolori e tante sfide ancora da vincere"
Roma-Napoli, Nela: "Col vento in faccia resto me stesso"
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Sebino Nela appartiene ad una categoria Cult, è quasi un mondo a parte. “Hulk”, come lo chiamavano ai tempi della Roma, è stato uno dei terzini più forti del calcio italiano. Passa dal Genoa alla Roma nel 1981 dove vincerà uno scudetto e tre Coppe Italia. Venditti gli dedicherà “Correndo Correndo”, la Sud il coro “Picchia Sebino”. Non basterà per farlo restare alla Roma dopo 397 gare e 19 gol. Nel 1992 passa al Napoli e gioca due stagioni di alto livello. Fino all’arrivo di Lippi. Oggi combatte con forza contro un male che gli ha messo paura più di qualsiasi avversario.

Sessant’anni appena compiuti. Vissuti “col vento in faccia” come il titolo del suo libro che sta avendo un grande successo. Il giorno più bello e il giorno più brutto?

"Devo ammettere che ce ne sono stati più brutti che belli. A livello calcistico il peggiore è stato il giorno del mio addio alla Roma. È stata una mazzata, se ci penso mi fa ancora male. Molto più di Roma-Liverpool. Pensavo di chiudere la carriera in giallorosso, ma già dall’anno prima qualcosa era cambiato. Il più bello lo divido per due: quando sono nate le mie figlie".

Che le hanno fatto un bel regalo qualche mese fa.

"Non me lo aspettavo, e all’inizio mi ero pure arrabbiato. Mi hanno difeso sui social dopo che sono stato allontanato per la seconda volta da Trigoria. Io ho preferito il silenzio, loro mi hanno protetto".

Si è sentito solo in quei giorni?

"Mi sono sentito triste, poi il mondo del lavoro è questo e lo so. Ma non ho capito alcuni commenti fuori luogo. Era già un momento durissimo con questo male di merda che ho. In certi momenti pensi anche al peggio, di lacrime ne ho versate tante".

Come vive il Covid un persona che deve sconfi ggere un tumore prima di un virus?

"Premetto che non sono negazionista, ma i morti per cause oncologiche sono stati il 30% in più rispetto all’anno prima. Per il Covid sono stati lasciati indietro cure di chemioterapia, così vuol dire ucciderli due volte. In questi mesi ho visto andare via tre amici per questo. Poi ci sarebbe da parlare di politica".

Cioè?

"Siamo in ritardo su tutto, vedo gente distrutta economicamente e non mi pare sia cambiato nulla col nuovo governo. Oggi bisognerebbe parlare e spiegare bene come stanno le cose soprattutto sui vaccini e sui ritardi. Si è passati dal parlare troppo al non parlare più".

Torniamo al calcio. I primi 20 anni tra Rapallo e Genova. Come definirebbe la sua adolescenza?

"Splendida, ero spensierato ma fino a un certo punto. Perché la mattina andavo a scuola, poi giocavo a calcio già in B col Genoa e di sera ero nella trattoria di mio padre a dare una mano. Tornavo a casa a mezzanotte. Come facevo a studiare? Il mio grande rimpianto è stato lasciare il liceo".

Poi il passaggio nella Roma di Viola. C’era più paura o felicità?

"Non sapevo se ero pronto per la Roma, in fondo avevo giocato solo in B. Io arrivo l’anno dopo del gol di Turone e sapevo di dover lottare per lo scudetto. Il timore c’era pure perché ho iniziato da stopper e mediano e mi sono ritrovato con Liedholm a fare il terzino. Il mio apprendimento è stato veloce pure perché giocavo con grandi campioni".

Potendola rigiocare oggi quale sceglierebbe tra Roma-Lecce e Roma-Liverpool?

"Potrei sembrare matto, ma dico Roma-Lecce. Una finale contro la squadra più forte del mondo la puoi perdere anche se il modo fu terribile, ma buttare via uno scudetto con una squadra retrocessa proprio no".

E invece più bella Roma-Dundee o Genoa-Roma?

"Considera che due anni fa rivedevo quella col Dundee in tv e mia figlia stava studiando. A un certo punto mi fa: 'Papà ma quanto cazzo eri forte?'. Aveva ragione, feci un partitone. Io e Righetti eravamo la coppia centrale e avevamo 42 anni in due".

Il passaggio al Napoli del post Maradona. Che atmosfera c’era?

"All’inizio terribile. Io sono arrivato a novembre e ci fu un attacco da parte di 30 ultras incappucciati a Soccavo. Ranieri andò via e arrivò Bianchi che già mi aveva allenato a Roma. Nel mio esordio al San Paolo contro la Fiorentina però sessantamila tifosi chiamavano il mio nome, io che ero stato 11 anni in un’altra squadra. Ho ancora i brividi. Un’esperienza pazzesca anche se breve. Ci siamo salvati anche perché in quella squadra c’era gente come Zola, Careca e Ferrara. Poi è arrivato Lippi con cui litigai. E finì tutto".

Che ha provato quando è morto Diego?

"Ho conosciuto Maradona da avversario e anche a Napoli l’ho incontrato quattro volte. Tecnicamente nemmeno dobbiamo discuterne, ma ciò che mi ha sorpreso è stato l’uomo. Una persona generosa, intelligente, umile. In molti si sono approfittati. Lui è sempre stato sincero, non voleva essere un modello. Quando è morto ho provato un vuoto".

E il giorno in cui ha affrontato la Roma da avversario?

"Sensazioni strane. Ma più brutte che belle. Di Canio mi venne ad abbracciare in panchina dopo il suo gol. In tanti si sono arrabbiati ma io non c’entravo nulla. Paolo sapeva quanto ci ero rimasto male per l’addio alla Roma e dopo il gol ha pensato di tirarmi su così. Non sapevano cosa avevo dentro in quei giorni".

Ma è vero che non è stato amico con nessun calciatore?

"Amico è una parola importante e la tengo per poche persone. In città grandi come Roma o Napoli è più difficile portare avanti i rapporti rispetto alle piccole realtà. Ho avuto buone frequentazioni con uomini veri come Pruzzo, Conti, Iorio, Turone o Ago. Ma quello che devo ringraziare più di tutti è Aldo Maldera. Mi coccolava, mi ha cresciuto".

Un aggettivo per questi tre allenatori: Liedholm, Eriksson e Bianchi.

"Liedholm era un maestro nel senso vero del termine. Devo tutto a lui e Gianni Di Marzio, due mondi opposti che mi hanno plasmato. Eriksson era sorprendente. Aveva 37 anni, quasi un coetaneo. Ci ha insegnato un gioco diverso. Bianchi una persona seria, a volte troppo perché pretendeva la stessa serietà da tutti e per questo si è scontrato con alcuni giocatori. Parlava poco, e questo gli ha creato problemi a Napoli come a Roma".

Il Nela di oggi a 60 anni cosa consiglierebbe di non fare al Nela di ieri?

"Beh gli errori li fanno tutti soprattutto nella vita privata ma a conti fatti non mi posso lamentare. Io non mi pento di aver detto no a grandi squadre per restare alla Roma ad esempio. Mi tengo il Nela di ieri e oggi".


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