La magia di un’Italia matura

La magia di un’Italia matura© EPA
Alessandro Barbano
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ROMA - Una piccola scarpa proprio sotto il pallone che corre davanti, un movimento del piede che lo uncina e gli dà una traiettoria un po’ a giro e un po’ a foglia morta, quanto basta per schivare la difesa avversaria che rientra in linea e abbassarsi nel cuore dell’area dove il portiere in uscita non può arrivare: l’assist di Insigne per Belotti, che non fallirà, è insieme il lampo di una magia e la linea esatta di un compasso, metafora di questa Nazionale, creativa perché giovanile, matura perché consapevole dei suoi mezzi.

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La vittoria con la Bosnia toglie il velo alle ambizioni degli azzurri di Mancini, che chiudono in prima posizione il girone di qualifi cazione alle Final Four della Nations League, al termine di un percorso iniziato due anni fa sotto la guida del cittì che ha rivoluzionato il modo di giocare a calcio, totalizzando in 27 gare 17 vittorie, 7 pareggi e solo 2 sconfitte, l’ultima delle quali subita ormai più di due anni fa (Portogallo-Italia 1-0 il 10 settembre 2018), con una media di 2,3 gol a partita. Per qualità individuali e ricchezza della rosa, compattezza e organizzazione di gioco, l’Italia che ha battuto ieri la Bosnia si candida a disputare da protagonista l’Europeo 2021.

Insigne è il leader naturale di questa squadra, che fa della dotazione tecnica una pregiudiziale in ogni settore del campo, tant’è vero che le sue prassi difensive non prevedono, neanche nelle situazioni più complicate, il lancio del pallone in tribuna. La maturazione personale del capitano del Napoli - che inventa senza tregua e rientra in copertura senza fatica - coincide con quella degli azzurri, all’insegna di un processo che declina l’esperienza in umiltà e spirito solidale. È questa la cifra identitaria di tutte le Nazionali che hanno fatto la storia dell’Italia nel calcio, tanto quella del 1982, quanto quella del 2006, tanto per fare i due esempi più luminosi scritti nella memoria collettiva del Paese.

Questa mentalità è il successo già raggiunto di Roberto Mancini, frutto non solo dei suoi autorevoli insegnamenti, ma di una capacità tutta intuitiva di mettere a loro agio gli azzurri, facendoli giocare ciascuno nel proprio ruolo e nel proprio modo naturale. In questo senso quella del cittì è una rivoluzione che potremmo definire ecologica, perché esalta i talenti individuali nel collettivo, ma non li piega alle sue ragioni. Questa filosofi a è riuscita a derubricare a un imprevisto gestibile l’assenza di cinque titolari come Immobile, Verratti, Chiesa, Chiellini e Bonucci, portando alla vittoria una squadra che partiva senza juventini. Un dettaglio, anche questo, di una leadership originale e senza complessi di inferiorità.

Certo, anche di fronte alla doppietta bosniaca, non si può non rilevare la sproporzione tra le occasioni create e quelle sprecate, con errori che nella loro ripetitività mostrano l’unico tratto di immaturità di questa Nazionale, un’incertezza realizzativa che impone a Mancini qualche residua riflessione e agli azzurri una maggiore concentrazione. I mesi che ci separano dall’Europeo serviranno per mettere a fuoco questo nodo. Ma, intanto, godiamoci la piacevole sensazione di aver ritrovato l’armonia tra l’Italia e il calcio. Di questi tempi, ce n’è tanto bisogno. Grazie, azzurri.


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