Italia, le buone ragioni per cambiare

Italia, le buone ragioni per cambiare© Getty Images
Alessandro Barbano
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È già un’altra Italia, quella che si risveglia dopo le sberle spagnole. Perché le sconfitte, e non le vittorie, sono un fattore di cambiamento. E quella del Meazza proietta la Nazionale in un altrove tutto da scoprire. A cominciare da domenica prossima, quando nella finalina sarà con ogni probabilità Raspadori a riempire il vuoto del centravanti, metafora del passo falso in Nations League. Il rapido e brevilineo attaccante del Sassuolo sarà la prima mossa di una lunga e non facile evoluzione degli azzurri, a cui Mancini dovrà applicarsi con l’intuito e la sensibilità che non gli mancano, se vuole preservare intatte le chance di competere per il podio anche nel Mondiale qatariota.

Ci sono contraddizioni che il successo europeo ha lasciato sotto traccia, ma che le ultime gare della Nazionale hanno riportato a galla. La prima riguarda proprio il ruolo del centravanti, che nel gioco dell’Italia deve essere un attaccante moderno, capace tanto di giocare di sponda nel palleggio corto, quanto di aprire corridoi in profondità suggerendo le ripartenze verticali e, soprattutto, di puntare la porta. Le diverse performance di Immobile, nella Lazio e nella Nazionale, restano un equivoco irrisolto che può trasformarsi in un handicap. Mancini ha il diritto-dovere di sperimentare un’alternativa che non sia un semplice rincalzo, valorizzando le qualità che il campionato saprà esprimere.

Poi c’è un tema che riguarda l’aggressività a centrocampo. Abbiamo scritto ieri che l’Italia ha peccato di presunzione, pretendendo di pressare alto la Spagna per impedirle di palleggiare e per conquistare il dominio del gioco. L’impresa è parsa funzionare nei primi quindici minuti, poi la diversa abilità degli avversari nel tener palla ci ha sfiancato, e al primo contropiede ci hanno trafitto. Per fare questo gioco occorre unire alle qualità tecniche del centrocampo doti di maggiore aggressività e spinta sulle fasce, dove ci mancano due esterni adatti allo schema.

Il recupero di Spinazzola è atteso come la manna dal cielo, ma altre alternative andranno cercate nei mesi che mancano. Ed è probabile che giocatori universali come Locatelli e Pellegrini possano risultare molto utili a quest’obiettivo. Ma l’incognita più grande riguarda i centrali difensivi: Chiellini e Bonucci sono tra i più forti al mondo, ma il primo arriverà in Qatar a trentotto anni, il secondo a trentacinque. Scommettere che possano garantire ciascuno sette gare di livello con un intervallo di tre giorni l’una dall’altra - questo è il ritmo che porterebbe alla finale - è un azzardo. Lo scivolone di Bastoni con la Spagna dimostra che anche i giovani di talento di cui dispone Mancini, e l’interista certamente lo è, sono incompleti, oltre che immaturi. Perché è inaccettabile che un centrale abbia un solo piede che risponde in modo affidabile, e un altro capace di lisciare il pallone anche quando non si è in ritardo. Anche in questo reparto Mancini dovrà provare altre soluzioni.

Da ultimo c’è il rebus Zaniolo, che rappresenta il più grande punto di domanda sul futuro della Nazionale. Si tratta del calciatore italiano che ha il maggior potenziale di talento e che, nelle condizioni di integrazione e adattamento ideali, può cambiare il destino di qualunque partita. La sua crescita e la sua centralità al progetto degli azzurri sono il compito più delicato e insieme più decisivo del cittì. Di fronte a tante incognite, c’è una rassicurazione. Mancini ha esperienza, intuito e coraggio, le qualità per trasformare lo sconfitta spagnola in una tappa di avvicinamento a un traguardo più alto. Merita tutta la fiducia e l’ottimismo di cui disponiamo.


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