Balotelli torna in Nazionale: perché sì e perché no

Il grande ritorno di SuperMario in azzurro ha scatenato le reazioni dei tifosi. Ecco i motivi giusti e sbagliati della scelta di Mancini
Balotelli torna in Nazionale: perché sì e perché no© LaPresse
G. Riva-A. Dalla Palma
6 min

PERCHE’ SI’: L’ULTIMA MANO DI POKER di Giuliano Riva

Roberto Mancini è il ct campione d’Europa. Fino a qualche mese fa era una specie di divinità italiana: la sua immagine e la sua voce rimbalzavano ossessivamente su tv, radio, smartphone e giornali; la corsa a celebrarne le intuizioni superiori era comune, incessante e continua. Due rigori sbagliati da Jorginho gli hanno complicato la vita, ma è difficile credere che sia completamente impazzito. Se Roberto Mancini ha richiamato in Nazionale Balotelli è perché è convinto che Mario possa dargli una mano: anche se è finito a giocare in Turchia, anche se troppe volte ha sprecato le occasioni che la vita (spesso complice il ct) gli ha messo davanti. D’altronde, Balotelli è un’invenzione di Mancini: aveva 17 anni quando Roberto lo buttò dentro in un quarto di finale di Coppa Italia e il ragazzino lungagnone e un po’ indolente demolì la Juve segnando due gol, il secondo con una mezza rovesciata che se non era un’opera d’arte ci assomigliava parecchio. E ne aveva quasi 20 quando Mancio convinse il City a scucire 29,5 milioni di euro per strappare all’Inter quel ragazzo che aveva fatto diventare matto Mourinho, fino al punto da indurlo a dichiarare sconsolato davanti alle telecamere: «Solo se hai un solo “neuronio” nella testa ti alleni con Zanetti e Cambiasso e non migliori». Eppure il ct non aveva avuto dubbi: Balotelli era l’uomo che voleva a tutti i costi e con Balotelli riportò il Manchester City a vincere la Premier che mancava da 44 anni. Era il 2012. Lo stesso anno in cui, con la maglia della Nazionale, Mario firmò una straordinaria doppietta alla Germania che consentì all’Italia di raggiungere la finale dell’Europeo. Fu quello il momento in cui Balotelli raggiunse lo stato di grazia che avrebbe potuto portarlo a raggiungere i livelli dei grandi fuoriclasse che si stavano affermando a livello internazionale. Nessuno ha mai pensato che potesse diventare Ronaldo, ma un gradino sotto si sarebbe potuto accomodare serenamente. Il problema del “neuronio” però lo ha sempre tormentato. E tutte le volte Mancini è tornato in suo soccorso. Anche solo con una frase pronunciata davanti ai giornalisti, una telefonata, un consiglio. Roberto ha sempre contato su di lui, convinto che potenzialmente avesse i numeri per vincere il Pallone d’Oro. Il Pallone d’Oro Balotelli non lo vincerà più: però, a quasi 32 anni, dopo essersi buttato via dieci, cento, mille volte, ha di nuovo la possibilità di fare la storia. In fondo, con i suoi tre scudetti, la sua Premier, la sua Champions e le varie coppe messe in bacheca è uno tra i giocatori più titolati della nazionale. Pensate se fosse proprio lui a portare l’Italia al mondiale come in un’ultima mano di poker. Non sarebbe meraviglioso?

PERCHE’ NO: HA TRADITO IL SUO CT NEL 2018 di Alberto Dalla Palma

Mancini ci aveva già provato all’inizio del suo mandato, quando Balotelli sembrava ancora un giocatore: si esibiva a Nizza, in un campionato poco competitivo (18 gol, suo record personale), prima di essere scaricato da un suo ex compagno di squadra, Patrick Vieira, che proprio non lo sopportava. Era scontato che il ct sarebbe partito da Mario, con cui aveva vinto all’Inter e al Manchester City: lo aveva scoperto nella Primavera nerazzurra ancora minorenne e all’epoca lo considerava un predestinato, un fuoriclasse del gol dal talento smisurato. Qualche anno dopo, lo avrebbe preso per il collo durante un allenamento: non ne poteva più, gli aveva fatto da padre, da fratello e da amico del cuore, senza avere in cambio nemmeno il rispetto. E neanche la riconoscenza, perché Mancini era il garante del Bad Boy: ogni volta che SuperMario si comportava male, la responsabilità veniva scaricata sempre sul tecnico di Jesi, che gli aveva anche garantito la conquista del Pallone d’Oro se solo si fosse comportato da professionista serio. Impresa impossibile, per Balotelli, che anche nel maggio del 2018 deluse il nuovo ct azzurro: i due precedenti, Conte e Ventura, non lo avevano preso in considerazione, soprattutto perché dopo il Mondiale in Brasile tutti i big della Nazionale lo avevano prima accusato e poi scaricato. Ma nemmeno di fronte al rientro nel club Italia, SuperMario ha modificato l’atteggiamento: chiamato da Mancini per i primi tre appuntamenti, realizzò un gol contro l’Arabia Saudita e sparì contro la Francia e la Polonia. Era sovrappeso e non sembrava, in quei giorni, così felice di essere rientrato nel giro che conta. Il tecnico, suo malgrado, lo abbandonò: 36 partite in azzurro, 14 gol. Uno in meno di Ciro Immobile, che ne ha raccolto l’eredità prima in compartecipazione con Belotti, poi in solitaria diventando il centravanti dell’Italia campione d’Europa. Ma si sa che il laziale, nonostante non sia mai stato messo in discussione, non è mai stato il centravanti ideale di Mancini, nonostante abbia segnato 171 reti in cinque anni e mezzo. Balotelli, adesso, può diventare un’ombra proprio per Immobile: eppure il ct, a cui la spinta del cuore non manca mai, non ha resistito e di fronte agli 8 gol realizzati con l’Adana (Okaka ne ha fatti 9...) ha deciso di richiamare SuperMario. L’ultimo tentativo, forse anche per farsi coraggio in vista degli spareggi: ma Balotelli, che non ha mai avuto il senso del bene collettivo e lo spirito di squadra, come potrebbe ancora aiutare l’Italia se non è riuscito a integrarsi e a motivarsi nemmeno nel maggio del 2018, quando il ct avrebbe voluto costruirgli intorno una Nazionale fatta su misura? Ci sembra alto il rischio che l’attaccante possa rompere gli equilibri del gruppo più unito della storia della Nazionale azzurra: ne vale proprio la pena?


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