Italia, una traccia per il futuro

Italia, una traccia per il futuro© Getty Images
Alessandro Barbano
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Non sai se consolarti con una vittoria che niente vale, o recriminare per il modo con cui il calcio italiano si è gettato via. Con un autolesionismo da mangiarsi le mani. Perché l’Italia che batte la Turchia è la squadra ingenua ma vitale, che di quella trionfante a Wembley pare l’evoluzione naturale. Ma è anche la scelta tardiva, o mancata se preferite, di Roberto Mancini. E nessuno che abbia un briciolo di onestà intellettuale può chiederne conto solo al ct, costretto ad affrontare il doppio spareggio senza neanche una settimana di ritiro.
I suoi occhi lucidi nel fine gara tradiscono la difficoltà di accettare un’esclusione che è contro le ragioni del merito. A posteriori sappiamo che l’Italia di Raspadori e Tonali archivia i turchi come certamente avrebbe fatto anche con i macedoni. La geometria ripetitiva e senza affondi di cinque giorni fa ritrova la velocità, il coraggio, e anche la saggia gestione del gioco che sono il marchio di Mancini nel quadriennio azzurro. L’egemonia si disegna a centrocampo dopo un avvio aggressivo dei padroni di casa, incoraggiato da una papera di Donnarumma. Man mano che i minuti passano, rivedi il fraseggio, l’inventiva, il dominio del gioco che riconosci come un tratto dell’Italia calcistica. Capace di pressare, di spostare in avanti il baricentro e di affondare veloce, difendendo poi il vantaggio senza farsi chiudere dagli avversari. Eppure in mezzo al campo non ci sono Jorginho, Barella e Verratti, ma piuttosto Cristante, Tonali e Pessina. Il regista del Milan è l’interprete migliore di quel processo di maturazione a cui una generazione di talenti è chiamata. Ma chi avrebbe osato gettarlo nella mischia della partita della vita, potendo contare sui campioni d’Europa? Mancini non deve farsene una colpa. All’errore, se di errore si è trattato, è stato indotto da un calendario inaccettabile per una Nazionale che rischiava di restare otto anni fuori dal Mondiale.
È ormai inutile recriminare. Da questi nuovi protagonisti il ct deve ripartire, sperando di poter finalmente contare su un sistema che non giochi più contro l’Italia. E che incentivi l’impiego di giovani azzurrabili in campionato, restituendo al calcio, attraverso un rilancio dei vivai, la dimensione industriale smarrita in un ventennio di azzardi finanziari.
Non tutto è perfetto nella notte di Istanbul. Lo smarrimento esistenziale di Donnarumma racconta gli effetti paradossali di una cattiva gestione della propria carriera sportiva. Il portierone del PSG paga e fa pagare all’Italia il suo travaglio parigino: il ritardo sul gol della Macedonia, che straccia il biglietto per il Qatar, ha per lui un effetto psicologico devastante. Eppure nessuno dubita sulle qualità dell’eroe di Wembley, i cui salvataggi di reni sugli affondi turchi nel secondo tempo confermano che le sue doti sono intatte. Ma un portiere non può arrivare depresso a uno spareggio così importante. Allo stesso modo è inaccettabile l’indisciplinatezza caratteriale di Zaniolo, la sua incapacità emotiva di calarsi nel gioco in empatia con i compagni, evitando alcune reazioni edipiche, inaccettabili per un professionista, come quella che alla fine del primo tempo gli costa l’ammonizione e, di conseguenza, la prudenziale sostituzione.
In ogni caso siamo ancora l’Italia. È la piccola, consolatoria certezza che ci congeda da questo funesto passaggio sportivo. Ha ragione Il ct, quando dice ciò che lui stesso si sforza di credere: c’è ancora voglia d’azzurro. E c’è ancora traccia di Mancini nell’azzurro sbiadito che saluta il Mondiale. Quella traccia è un sentiero verso il futuro.


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