Serie A, pochi italiani: i dirigenti dei club sono colpevoli

Serie A, pochi italiani: i dirigenti dei club sono colpevoli© Getty Images
Alberto Dalla Palma
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L’ultima l’aveva giocata contro la Macedonia nel marzo scorso e alla fine della terribile notte di Palermo si era parlato di un divorzio inevitabile tra Immobile e la Nazionale, in cui si sentiva un ospite sgradito. Nonostante sia da oltre sei anni il più forte attaccante italiano per distacco e stia per raggiungere, tra i pochi eletti, quota 200 gol in serie A, pur con le due stagioni di esilio a Dortmund e a Siviglia, Ciro non si è mai considerato il vero centravanti della squadra di Mancini, almeno fino agli Europei, quando è riuscito a giocare sei partite su sette dall’inizio. Anzi, dopo l’accusa di una parte della critica, soprattutto del Nord, di essere uno dei grandi colpevoli dell’eliminazione azzurra dai mondiali del Qatar, aveva deciso di non tornare mai più nel club Italia. Lo stesso ct, consapevole che avrebbe dovuto aprire un nuovo ciclo per il futuro, aveva fatto trapelare la sua intenzione di chiudere con la vecchia guardia.



In realtà, a sei mesi da quella disfatta e a pochi giorni dalla sfida contro l’Inghilterra a Milano, ecco che si riparte, inevitabilmente, proprio da Immobile, per la buona pace dei suoi detrattori che nemmeno a parole sono riusciti a trovare un degno erede dell’attaccante della Lazio. Addirittura, pur di non avere Ciro tra i piedi, qualcuno aveva anche sponsorizzato il giovane Lucca solo perché aveva fatto qualche gol in B con la maglia del Pisa prima di scomparire nel girone di ritorno: a luglio è emigrato ad Amsterdam con la speranza di giocare qualche minuto con l’Ajax. Per ora soltanto 30 in Eredivise, mentre meglio è andata a Scamacca, ancora zero gol in Premier con il West Ham ma almeno 4 in Conference League.

Mancini, ieri, ha lanciato un allarme che esiste, in realtà da qualche anno perché in serie A non ci sono attaccanti italiani e i club investono soltanto sugli stranieri anche per sfruttare le agevolazioni fiscali che stanno penalizzando i nostri giovani talenti. Nell’ultima giornata di campionato soltanto cinque erano i centravanti titolari potenzialmente convocabili in Nazionale: Immobile (Lazio) e Raspadori (Napoli), che sono a Coverciano, Lasagna (Verona) ex azzurro uscito dal giro come Caputo (Samp), e Pinamonti (Sassuolo). Nessuno si fida, in realtà, dei nostri attaccanti: Petagna è già diventato la riserva di Gytkjaer o Dany Mota a Monza, che pure ha puntato sugli italiani; Bonazzoli è stato quasi spazzato via, a Salerno, da Piatek che fa coppia con Dia; il baby Colombo quasi mai emerge a Lecce, dove Corvino ha scelto Ceesay e Banda mentre Belotti, destinato a rientrare nel club Italia, nella Roma è solo il vice di Abraham. Kean delude anche Allegri e infine Pellegri, a Torino, fatica a conquistare qualche minuto in campo.



Chiedere aiuto ancora una volta a Immobile è quasi naturale, considerando che viaggia a una media di 30 gol a stagione dal 2016. Semmai Mancini dovrà cercare, da venerdì sera a Milano in poi, di mettere Ciro nelle migliori condizioni possibili, cosa che non ha fatto in passato: la Nations League può diventare un obiettivo di consolazione per la Nazionale, ma poi ci saranno anche le qualificazioni ai prossimi Europei e ai mondiali successivi. Finché Immobile vola, è meglio salire sull’aereo e andare avanti ma per il futuro, come ha denunciato il ct, c’è davvero poco o niente. Scamacca e Pinamonti, attualmente, possono essere considerati gli unici eredi di Ciro, sebbene i loro numeri siano al momento poverissimi. Altri giovani talenti italiani non ci sono e se ci sono nessuno li va a cercare: meglio andare all’estero e spendere meno, grazie alle agevolazioni fiscali e ai prezzi di saldo. D’altronde, conoscete qualche dirigente dei nostri club a cui può interessare la sopravvivenza della Nazionale?


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