Donnarumma, chi osa ancora discuterlo?

Donnarumma, chi osa ancora discuterlo?© LAPRESSE
Antonio Giordano
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In questo Paese di Portieri, Santi e Navigatori, la regola è di doversene stare lì a gustarsi lo spettacolo nella parata di una stella che riempie gli occhi: e quando, a Budapest, Gigio Donnarumma va giù - una, due, tre volte - si capisce in che “razza” di mani sia finita l’Italia. Voltandosi, ci si può smarrire a contare i fenomeni che abbiano attraversato questo macrocosmo in lungo e in largo - in ordine alfabetico, da Albertosi sino a Zoff, ognuno può aggiungere chi vuole, e ci vorrebbero non meno d’un paio di dozzine di protagonisti - però lanciandosi nel futuro, in un Mondo abitato da fuoriclasse, Donnarumma pone se stesso come l’inarrivabile Mito del decennio che verrà.



A ventitrè anni, in genere, si sta ancora in giro a cercare qualcosa di se stesso, fosse anche l’idea di cosa fare da grande, mentre Supergigio si è portato avanti, sta al fianco - o pure sopra - a Neuer che ne ha 36, a Courtois a Oblak e a Ter Stegen che galleggiano intorno ai 30, a Maignan che sta a 28: oltre, c’è una forbice più grande dell’apertura alare di quel talento che ne ha dovuto subire tante, persino troppe, e che è stato capace di venirne fuori da solo, scansando i dollari che gli fecero piovere addosso in Polonia, dopo il no al rinnovo con il Milan, o di prendere a spallate la ferocia delle critiche quando Benzema gli strappò il pallone e lo adagiò nella brace. Donnarumma è stato sballottato di qua e di là ad ogni incidente di percorso, ha scoperto l’ingratitudine del ruolo di enfant prodige, e dopo il recente 5-2 con la Germania, in una serata gelida come può esserla soltanto una sconfitta catastrofica, è uscito dalla sua apparente ritrosia, ha sbuffato a microfoni aperti, ha avvertito sulla propria pelle i graffi d’una contestazione che da strisciante è divenuta dilagante: gli italiani (e forse la moda non ha confini) perdonano tutto, tranne il successo. Ma si può tentare di demolire un genio del genere?



Donnarumma è fuori dagli schemi, è stato scaraventato in porta a 16 anni e 8 mesi da una illuminante intuizione - intrisa di coraggio - di Sinisa Mihajlovic, ha sistemato i suoi guanti sull’Europeo e lo ha conquistato; poi s’è messo ad ammirare la Torre Eiffel, non prima dell’ennesimo esame - stressante - racchiuso nel “duello” ravvicinato con Keylor Navas, chiaramente vinto alla distanza. A Donnarumma è stato chiesto di crescere in fretta, rapidamente, di vivere da “vecchio” quando invece era ancora un bambino, come se gli fosse stata negata una fase della vita - l’adolescenza - per buttarlo in pasto a quest’infernale universo mediatico, abbagliante però pure accecante, emozionante e però anche travolgente, appagante (economicamente e non solo) ma pure terribilmente invadente o invasivo. Donnarumma non è mai sembrato, con quella barba che a volte pare abbia il valore d’una maschera protettiva, il ragazzo della porta a fianco ma il simbolo d’una Generazione di Fenomeni rappresentata esclusivamente da se stesso, il fascino di un eroe “somaticamente” antico che ha tracce di eterna modernità. D’un tempo che non passa mai.


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