Il calcio nell’era del tempo infinito

Il calcio nell’era del tempo infinito© Getty Images
Alessandro Barbano
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In una celebre commedia italiana degli anni Settanta l’arbitro Carmelo Lo Cascio, interpretato da Lando Buzzanca, in preda a un esaurimento nervoso indotto dagli psicofarmaci, si rifiuta di fischiare la fine di una partita internazionale e viene portato fuori dal campo con la forza dalla polizia. I dieci minuti di recupero da lui accordati sono, nel racconto del film, un tempo infinito, tale da giustificare il blitz dell’ordine pubblico. Con questo parametro molti direttori di gara del Mondiale qatariota meriterebbero il ricovero coatto, avendo dilatato a dismisura la durata delle gare. Sembra avverarsi la profezia pronunciata da Max Allegri dopo un’infinita Atalanta-Juventus di cinque anni fa: «Di questo passo il calcio diventerà come il baseball»

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In realtà gli arbitri stanno rispondendo a un problema reale con un rimedio peggiore del male, secondo un costume dei tempi. Il problema reale è l’effettività del tempo di gioco, che viene artatamente compressa dalla squadra interessata a un difendere il vantaggio o piuttosto il pareggio. In dispregio a qualunque principio di lealtà sportiva. A questa patologia del gioco, che penalizza lo spettacolo oltre che la stessa contendibilità del risultato, i direttori di gara hanno opposto la terapia del recupero discrezionalmente deciso, secondo una rozza logica artigianale. Con l’effetto di calpestare e negare la certezza e la prevedibilità del gioco. Ma la partita non può diventare un elastico, senza trasformare la discrezionalità dell’arbitro in arbitrio.

Purtroppo, a causa della debolezza istituzionale delle élite che governano la più grande fabbrica di emozioni del pianeta, gli arbitri hanno assunto nelle politiche sportive lo stesso ruolo debordante dei magistrati nella democrazia. Ritagliando le regole a loro misura, hanno assunto una centralità esorbitante e contraria allo spirito della loro funzione. Che è quella di sanzionare le irregolarità e certificare gli esiti del campo. Non quella di regolare l’equilibrio di una gara, amministrando torti e ragioni secondo un criterio equitativo che finisce, prima o poi, per sconfinare in un criterio soggettivo. 

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C’è una sola soluzione contro le tattiche dilatorie di atleti e allenatori. È il tempo effettivo, l’esattezza scientifica a cui tutti gli sport professionistici di rilievo fanno riferimento, tranne uno: il calcio. La legge del cronometro sarebbe la più giusta e anche la più adeguata a promuovere le ragioni della sportività e dello spettacolo. Che si aspetta ad approvarla? 


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