Quella volta, Maradona

Quella volta, Maradona© Bongarts/Getty Images
Ivan Zazzaroni
6 min

Lewandowski non meritava una partita del genere e una Polonia così disarmante e disarmata da Czeslaw Michniewicz, da ieri Minchiewicz, considerato l’elevato numero di minchiate collezionate in meno di 100 minuti. Il Nostro le ha provate tutte per mettere l’Argentina nella condizione di dominare e vincere: fuori Milik, Lewandowski isolatissimo, tenuto da Romero e continuamente raddoppiato. Un 9-1 avvilente: i cambi, dopo la quattordicesima conclusione degli avversari, sono stati ulteriomente penalizzanti. Messi si è addirittura permesso il lusso di farsi parare un rigore da Szczesny che era in serata pigliatutto.

Minchiewicz è un soggetto che coltiva dubbi amletici e li risolve quasi sempre nel peggiore dei modi: la mattina di Polonia-Arabia Saudita aveva escluso Milik, poche ore dopo Arek è stato impiegato dall’inizio. Ieri, alle 14, lo stesso Milik era negli undici iniziali e sei ore più tardi è finito in panchina. Tuttavia è incredibilmente fortunato: dopo aver rischiato di passare il turno per due cartellini gialli in meno, nel finale ha potuto gioire al gol (in più) di natura saudita.
L’ha indovinata facilmente Scaloni che può contare sul genio di Messi e su un paio di talenti in condizioni di forma straordinarie, il ventunenne Enzo Fernandez, il ventiduenne pupillo di Guardiola Julian Alvarez e il ventiquattrenne Mac Allister, che gioca nel Brighton di De Zerbi: gli ultimi due hanno firmato il 2-0. Dybala per Scaloni non merita nemmeno un minuto. Per Scaloni o per Messi?

Negli ottavi l’Argentina affronterà l’Australia e scusate se questa sfida mi riporta a Maradona, allo spareggio d’andata per la qualificazione a Usa 94. Io a Sydney c’ero. Diego era dimagrito - in qualche modo - di 12 chili per guidare la sua nazionale e soddisfare le richieste fin troppo esplicite degli organizzatori americani e della Fifa che lo volevano ad ogni costo (gli stessi che dopo la seconda uscita della Selecciòn, a Dallas, lo tradirono). Di quella squadra facevano parte gli “italiani” Chamot, Balbo e Batistuta.

Andrea Lancillotto e Ginevra (e Nyon)

Tante, troppe le versioni, letture, supposizioni, illazioni, fantasie, anticipazioni a pene di segugio, ma anche qualche intervento che mi ha fatto riflettere. In particolare quello di Pierluigi Panza, scrittore e tifoso juventino pensante e lucido. Il suo articolo pubblicato in un blog di corriere.it contiene spunti interessanti, soprattutto quando Panza disegna il quadro politico in cui si è mosso (male) Agnelli. Al quale - peraltro - non risparmia alcunché. Lo pubblico quasi integralmente: «Sparare adesso contro Andrea Agnelli, padre dei 9 scudetti consecutivi e del rinnovamento delle strutture della Juventus, è squallido. Il 6 luglio 2018, pochi giorni prima del suo acquisto, scrissi un articolo intitolato “Perché da juventino dico no a CR7”, sottolineando che CR7 sarebbe stato l’inizio della fine... Agnelli è stato il responsabile della “svolta dei quarantenni” e ora, giustamente, deve lasciare. La malafine era un pronostico facilissimo».

«John Elkann – che, dicono, non ami il cugino – riesce con queste dimissioni a evitare che Andrea finisca nella tempesta come responsabile di una società accusata di ostacolare le indagini nella ricerca di falso in bilancio. Il nuovo presidente-commercialista collaborerà con la Consob, il Tribunale procederà nelle indagini e la vicenda si chiuderà con ammende e rinvii a giudizio che andranno a perdersi in un futuro senza tempo. La parte sportiva è altra cosa e resterà nelle mani di Allegri con valutazione a fine anno».

E qui la cosa si fa interessante: «... L’ultimo tentativo di uscire dall’accerchiamento fu il disperato lancio della Superlega alla quale, da principio, aderirono anche squadre mai colpite dal Tribunale o dal Financial fair-play. Ma Agnelli, vinto il sesto, poi il settimo scudetto di fila ha fatto proprio male a tentare il tutto per tutto? E perché lo ha fatto? Lo ha fatto per hybris, certo, ma anche per i tifosi o perché tutti, una volta nella vita, hanno mandato una macchina fuori giri per raggiungere un traguardo altrimenti irraggiungibile. E questo è il punto: perché alle squadre del Sud Europa, dell’Europa Latina, è diventato impossibile competere ad alto livello ad eccezione del Real Madrid? Perché l’asse delle europee nutrite dai sudamericani di lingua latina, che per tutto il Novecento ha sfidato e vinto gli inglesi inventori del football, è stato cancellato? È stato sabotato dall’alleanza globalista tra inglesi e arabi, che controllano la finanza londinese. Fifa e Uefa, con l’Europeo a Londra (salvato dall’Italia di Chiellini) e il mondiale in Qatar, hanno benedetto la Nuova alleanza, alla quale partecipa anche il Psg, squadra qatariota che milita in un campionato inesistente».

«Spazzato via il calcio balcanico, greco, ridimensionato quello iberico, inesistente quello francese erano restate quattro squadre che potevano competere contro la Nuova alleanza anglo-araba. Due sono, per ora, sopravvissute, Real e Bayern e due sono uscite dal Grande gioco massacrate da Ceferin, Al-Thani e diritti tv della Premier League: Juve e Barcellona. Agnelli è stato un Lancillotto della ribellione contro questo sistema. Come tutti gli eroi tragici ci ha rimesso le penne. La sua scelta, che sconsigliai, non si può dire tuttavia non coraggiosa, anzi coraggiosissima sino all’azzardo pokeristico. Tutto o niente, titolo del cortometraggio sulla Juve, è anche quello del presidente Agnelli: dapprima tutto, poi niente, in barricata a sistemare bilanci, lettere, plusvalenze e altre disdicevoli operazioni nell’età del Covid. Ma tutto ciò è conseguenze di una coraggiosa battaglia, che ha colpito, guarda a caso, lui e nel 2019 il Milan (consent award con la Uefa davanti al Tas). Gli altri rispettano tutti il Financial fair-play».


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