Salvate il soldatino Sarabia

Marco Evangelisti
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Questa è la storia del buon soldatino Pablo Sarabia, a cui avevano trovato una missione fatta su misura, qualcosa di piccolo e adatto, premere un pulsante al momento giusto, stare a guardia di un bidone di benzina, tirare un rigore. E lui l’ha fallita. Per pochi centimetri, la distanza di mezzo pallone che rotola sul palo invece di infilarsi in porta. Così ha scoperto di vivere in una favola, di quelle antiche e originarie che non finiscono mai con baci e resurrezioni, bensì con streghe che sghignazzano e sangue nella foresta. Sotto la festa assordante dei tifosi del Marocco si è conclusa questa storia brutta per lui, capace quasi di vincere la guerra da solo, prima ancora che la missione vera cominciasse. Ha sbagliato il rigore d’apertura per la Spagna avviando la disastrosa reazione a catena che ha travolto anche Soler e il maestro Busquets. Subito prima, all’ultimo secondo della partita autentica, aveva appoggiato il pallone sull’altro palo, quello lontano a sinistra, arrivando ad altri centimetri dall’essere l’eroe del giorno, il salvatore della patria, colui che avrebbe cambiato l’odissea senza lieto fine di Luis Enrique in un trionfo intellettuale: Nico Williams messo in campo e tutto sommato capace di rendere frizzante la fascia destra, quindi tolto perché serviva uno bravo a tirare i rigori. A risultato differente, avremmo cantato di due colpi di genio al prezzo di uno.

Invece no. Luis Enrique oggi è un esteta dalla voce rauca e Sarabia un altro colpevole e un’altra vittima della schematizzazione teoretica del calcio, mancino a cui la grande occasione della vita precipita sul destro, condannato dalla geometria dei piedi invertiti. Qualcuno lo salverà dalla depressione postpartita e postmondiale, forse non il Psg dove attualmente sta giocando sì e no (sedici presenze, comunque), magari il Milan come si dice in giro, magari qualcun altro. Trent’anni non possono certo essere il limitare di una carriera da ala sincera, ovviamente destra perché così la geometria e la schematizzazione sono salve. È uno nato nel Real Madrid, esperto di Liga, passato dallo Sporting Lisbona, scelto dai miliardari qatarioti stabilitisi in Francia.

Soprattutto, è un buon soldatino. Lo hanno spostato a centrocampo, incaricato di missioni più complicate che tirare un rigore, tipo essere la riserva di Cristiano Ronaldo nel suo momento forse più splendente, quello alla Casa Blanca. Sarabia era giovane allora, però faceva pur sempre parte della generazione spagnola che si era messa in moto sull’abbrivio del calcio rimodernato, prima che diventasse ideologia, e stava vincendo qualsiasi cosa. È stato uno dei primi giocatori che Mourinho ha estratto dalle giovanili del Real, una volta che lo Special aveva finito di trasfigurare l’Inter nella squadra del Triplete ed era passato in una sola notte a occuparsi delle cose madridiste. Non ha mai afferrato il momento giusto. Nel Getafe ha fatto ciò che ha potuto, per cinque anni. Al Siviglia anche di più, però subito dopo il periodo in cui il club aveva spazzolato via tre Europa League consecutive. In Portogallo, una Coppa di Lega. Al Psg diversi trofei francesi, ma lì sei uno dei tanti.

Persino il suo Europeo è stato quello sbagliato, quello in cui l’Italia non si faceva mancare nulla, neppure i maledetti rigori. Con gli azzurri Sarabia, infortunato, non c’era. Nelle altre gare sì e davanti alla Croazia segnò e salutò mano alla fronte, come aveva promesso: omaggio al padre scomparso e al nonno, militari di carriera, e alla sorella arruolata nella Guardia Civil. Obbedisce e non comprende perché capitino tutte a lui. Anche finire in una favola nera, dentro una foresta di pali da cui non c’è modo di fuggire.


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