Il Marocco apre le porte del futuro

Le Accademie del re, il 4-1-4-1 del ct Regragui e il calcio globale di 14 giocatori nati all’estero: dopo 92 anni e 959 partite il Mondiale celebra l’Africa
Il Marocco apre le porte del futuro© EPA
Stefano Chioffi
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Pregano in ginocchio, ringraziano Allah e piangono, perché il Marocco in semifinale è un evento colossale, una pagina che cambia la storia del calcio e dello sport: dopo novantadue anni, ventidue Mondiali e 959 partite una nazionale africana ferma il tempo e festeggia per la prima volta questo traguardo. Un viaggio sulla luna per il Paese del re Mohammed VI e per un intero continente, mentre Cristiano Ronaldo lascia il palcoscenico in lacrime, quasi evitando le telecamere: il fascino di una nuova epoca, certificata dal cambiamento radicale prodotto da un Marocco sovversivo, e il dolore intimo e privato di un campione che deve arrendersi alla legge del tempo. “Inshallah”, aveva ripetuto Walid Regragui, ct moderno e visionario, alla vigilia della sfida con il Portogallo. E proprio così ha voluto il cielo. Youssef En-Nesyri è il centravanti del destino, quello che ha preso l’ascensore per colpire di testa il pallone più importante, da quando - nel 1956 - è stata fondata la Fédération Royale Marocaine de Football. Suo il gol che ha regalato una qualificazione meravigliosa. Ha venticinque anni, En-Nesyri: gioca nel Siviglia ed è nato a Fes, una delle culle dell’università, della cultura e dell’arte del Maghreb.  

La formidabile ascesa del Marocco rappresenta un fenomeno da celebrare e studiare. Un’evoluzione figlia di un processo virtuoso. C’è un lungo percorso dietro al 4-1-4-1 e agli schemi di Regragui, alla forza di un Tir come Hakimi, al pressing magistrale di Amrabat, alla razionalità di Ounahi, alle parate di Bono, alle sterzate di Boufal, alla genialità di Ziyech, al carisma di El Yamiq, alla spinta di Attiat-Allah, che ieri ha firmato il cross da cui è nato il trionfo. La semifinale è un premio agli investimenti, è la somma algebrica di un progetto che ha sempre seguito una logica. Come nel caso della decisione di ingaggiare il ct Regragui, che il 30 maggio aveva vinto da allenatore del Wydad Casablanca la Champions organizzata dalla Caf, la Confédération Africaine de Football, battendo in finale gli egiziani dell’Al-Ahly. Un Marocco bello e spietato, che ha incassato solo un gol in cinque partite, oltretutto a causa di una sfortunata deviazione di Aguerd, stopper del West Ham e altro gioiello di una nazionale che valeva globalmente - prima del Mondiale - intorno ai 240 milioni.
Un miracolo sportivo che è il frutto di diverse tappe cruciali. La prima data è quella del 10 marzo 2007, quando il re Mohammed VI decide di creare un’Accademia del calcio a Sala Al Jadida, tra la capitale Rabat e Salé. Affida il piano agli ingegneri della Groupe 3 Architectes. E mette in preventivo una spesa di centoquaranta milioni, scegliendo come riferimento il manager Nasser Larguet. Il 22 settembre 2010 la struttura viene inaugurata sotto l’egida della Compagnie Générale Immobilière e di Mounir El Majidi, segretario reale. Si trova vicino al fiume Bouregreg e copre un’area di due chilometri e mezzo. Calcio e studio, dribbling e libri. Quattro campi in erba, uno sintetico, un box speciale per la preparazione dei portieri. Una scuola con dieci aule: letteratura, lingue, informatica. Sport e istruzione per cinquanta ragazzi tra i tredici e i diciotto anni. Alloggio e mensa, un polo medico che comprende una clinica, un’area per la fisioterapia e una piscina. Iniziativa che trova anche l’appoggio di una serie di sponsor: da Maroc Télécom a Attijari Wafa Bank. Nel 2015 nascono altre accademie a Tangeri, Saïdia e Agadir, seguendo il format di Sala Al Jadida, dove si sono formati anche En-Nesyri, Ounahi, Mendyl, Aguerd e Wahib. Il 31 agosto 2022 è un altro giorno che merita un cerchio rosso. Il Marocco decide di esonerare il ct Vahid Halilhodzic, settant’anni, giramondo bosniaco, che ha guidato in passato anche la Costa d’Avorio, l’Algeria e il Giappone. Lo strappo nasce dai giocatori, contrari ai suoi metodi: poco dialogo, zero sintonia, Halilhodzic è in contrasto con Ziyech, fantasista del Chelsea, e decide di non convocarlo più. Lo accusa di indisciplina: “Le ultime volte non si è allenato, usando delle scuse. Non posso far saltare in aria il gruppo”, annuncia ai giornali marocchini.
Tensione anche con il terzino Mazraoui, ex Ajax, ora al Bayern Monaco. E così, dopo una pausa di riflessione e alcuni contatti con Walter Mazzarri, il presidente federale Fouzi Lekjaa, che ricopre anche il ruolo di ministro delle finanze, decide di chiamare Walid Regragui, quarantasette anni, nato in Francia, a Corbeil-Essonnes. Una discreta carriera da difensore, nel Tolosa e nel Racing Santander, nell’Ajaccio e nel Grenoble, prima di diventare vice-ct del Marocco nel 2012 e di allenare poi il Fus Rabat, l’Al-Duhail (club di Doha) e il Wydad Casablanca, vincendo - oltre alla Champions della Caf - due campionati (uno in Qatar) e una Coppa del Re. Due moduli di base: 4-1-4-1 e 4-3-3. Una cultura tattica che coniuga calcio europeo e africano. Un motivatore, un altro Mourinho, capace di toccare le corde giuste, di entrare nella mente e nelle coscienze dei calciatori: quattordici di loro sono nati all’estero (tra Spagna, Italia, Belgio, Francia, Olanda e Canada), ma hanno il Marocco nel cuore. La prima mossa di Regragui? Restituire centralità a Ziyech. Un romanzo sbocciato così, attraverso un’idea che si è sviluppata. Le Accademie sono diventate una preziosa fonte di ispirazione anche per altre realtà. Ieri la Royal Air Maroc ha organizzato sette voli charter da Casablanca a Doha. Emozione e orgoglio, migliaia di tifosi innamorati. E poi le telefonate di congratulazione di sua maestà Mohammed VI. Il Marocco accende una fantasia che non conosce latitudini per bellezza, intensità, valore. Ma forse, come dice Regragui, il meglio deve arrivare. Mercoledì c’è la Francia di Mbappé per provare a toccare le nuvole.  

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