Serie A, maglie vintage: si torna alla semplicità

Roma, Juve, Napoli, Lazio, Milan e Inter tornano a vestire i propri colori storici
Serie A, il calendario squadra per squadra
Furio Zara
5 min

ROMA - E poi ad un tratto il mondo è tornato ad avere un senso. I nerazzurri sono nerazzurri, i giallorossi sono giallorossi, i bianconeri sono bianconeri. Creativi in ferie, interrotta l’orgia psichedelica: fermate le rotative. Le maglie delle nostre squadre sono tornate alla loro banale e commovente essenzialità. E’ come se si fossero messi tutti d’accordo: ci prendiamo una pausa dalla scemenza collettiva che ci ha contagiato in questi anni di rincorsa al nuovo e all’inedito a tutti i costi, con rischi non calcolati di deragliare nel trash? Ce la prendiamo questa pausa?

NUOVA TENDENZA? - E così l’estate ha - più o meno consapevolmente - riconsegnato alle divise un’onestà di fondo. Le maglie di Inter, Roma, Juventus, Napoli, Milan, Lazio e via sfogliando la serie A, hanno riacquistato una loro dignità dopo lunghe stagioni di soprusi ben pagati e violenze accettate per essere trendy, hai detto niente. Schiaffeggiate per anni a colpi di carta di credito (tranquilli, non è il peggiore dei mali), le divise sociali di questa estate 2015 hanno ritrovato l’orgoglio perduto, o almeno ci stanno provando. Se sia l’abbaglio del solleone o una inversione di tendenza, beh, ce lo dirà il tempo. La preghiera di noi che abbiamo riscoperto maglie dai colori semplici e decisi è una sola: ma perché non continuare così? Perché non giocare anche in campionato con queste maglie?

L’APPARTENENZA - Siamo consci che le maglie si devono vendere, ma prima di essere merce - lo sappiano lorsignori - le maglie sono simboli. Sì, il fascino discreto della maglia. Rappresentano qualcosa in cui ci si può riconoscere; anche se non osiamo dire che è un valore - non lo è più la famiglia, può esserlo un terzino che fa bene la diagonale difensiva? - ci illudiamo di pensare che la maglia di una squadra racconti qualcosa anche di noi. Perché la maglia è lì a testimoniare una cosa soltanto: il senso di appartenenza. Il tifo si declina sempre alla prima persona plurale: noi. Era una seconda pelle, la maglia, è diventata un cambio di stagione. Era un frammento di memoria che si rinnovava, negli anni è diventata uno scannatoio per sponsor voraci, un terreno vergine un tempo immacolato da imbrattare di pseudo genialate da parte di pubblicitari senza freni inibitori, ignari della storia che ogni maglietta si porta addosso. Siamo sempre lì: paga e puoi scriverci sopra ciò che ti pare. Non pretendiamo di tornare al tempo delle maglie pulite e immacolate; sarebbe come sognare di bere un tamarindo, girare la manopola del Brionvega in bianco e nero e trovarci Gianni Vasino che commenta un gol di Ruben Buriani contro i volenterosi orobici. Ok, quella è storia vecchia. Però ci piace segnalare questa novità estiva che ci riconcilia con la semplicità del calcio (come nell’eterno calcio-balilla: rossi da una parte, blu dall’altra).

TRADIZIONE - Novità partorita - immaginiamo - non per caso. Si sa: non di solo romanticismo vive l’uomo (e men che meno il professionista che nei vari club nei club si occupa di merchandising e marketing); e la nostalgia è un lusso che molti non si possono permettere. Ecco quindi che l’operazione-nostalgia nasce anche dalla volontà di riannodare il filo affettivo e soprattutto economico con un popolo - quello dei rispettivi tifosi - che negli anni si è disperso e disamorato. L’ultimo studio in materia ci dice che la Juventus - prima in Italia per vendita di maglie - vende comunque poco più della metà di club come Arsenal e Liverpool e un terzo secco di società come Real, Barcellona, Manchester Utd e Bayern, che hanno mercati decisamente più global. Così la maglia dell’Inter che richiama la vittoria in Coppa Uefa del ‘90-91, la seconda maglia della Lazio con l’aquila stilizzata, la maglia bianca della Roma (da trasferta, ma ora la chiamano «away» come una canzone degli One Direction) che fa l’occhiolino alla Città Eterna, le divise di Juve, Torino, Bologna eccetera rimangono fedeli alla tradizione, come se l’appiglio giusto e il più solido (per farsi amare, cioè per vendere) non fosse altro che quello offerto dalla Storia. Ripetiamo la supplica e la rivolgiamo alle società: ma perché non giocate con queste maglie anche in campionato? Sarebbe un modo concreto per restituire la maglia al suo senso più intimo: quello di un’idea condivisa. Io, tu, noi. Facciamo un appello ai creativi in astinenza da una «great idea», come la chiamerebbero loro: non rimettete a noi i vostri tiramenti. E dateci la nostra maglia quotidiana. La più semplice, però: sappiate che spesso è pure la più bella. 


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