Conte c'è, Sarri ancora no

Conte c'è, Sarri ancora no© Inter via Getty Images
Alberto Dalla Palma
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È ancora troppo presto per dire che dopo otto anni di Juve e basta qualcosa sta cambiando ma intanto il primo segnale è arrivato: dopo un sabato da Champions, a punteggio pieno c’è solo Antonio Conte, l’uomo che aveva avviato proprio il lungo dominio dei rivali di oggi. Era dal 12 dicembre del 2017 che l’Inter non stava davanti alla Juve, in testa alla classifica, e dal 3 marzo del 2018 che la Signora non lasciava la vetta, in quel caso al Napoli. Il successo nerazzurro, firmato da un Sensi sempre più straordinario e decisivo, è arrivato dopo una partita di sostanza come il suo allenatore, favorito anche da una follia di De Paul. Nonostante il vantaggio dell’uomo in più per quasi un’ora, l’Inter non ha mai dato l’impressione di poter debordare: nel dna di Conte c’è un solo obiettivo, vincere, vincere e vincere, allo spettacolo si dedicassero gli altri.

La Juve, camuffata da Bari (o da Olanda: si discute ancora se i pantaloncini fossero rossi o arancioni), in realtà non si è mai appalesata a Firenze, dove è sembrata in grande ritardo di condizione (due infortuni muscolari immediati: Douglas Costa e Pjanic; una sostituzione per crampi: Danilo) e in totale confusione. Non era la squadra di Allegri, cinque anni di conduzione tecnico-tattica, non era la squadra di Sarri, trenta giorni a letto con la polmonite, e non era neanche una via di mezzo: i bianconeri sembravano undici giocatori sparpagliati sul campo, in attesa di definire ruoli e posizioni come si fa con gli amici quando si organizza una partita salva-settimana. C’è da aggiungere che, finalmente, Montella è stato bravissimo a preparare le contromosse per una Juve che non c’era: difesa a tre, centrocampo aggressivo, due punte pronte a scambiarsi il fronte d’attacco. Ribery si è mosso quasi da regista, oscurando il mito di Ronaldo, mentre Chiesa ha avuto un paio di occasioni da centravanti sfruttate davvero male. Sarri, che a Napoli si lamentava di giocare sempre prima della Juve e ieri si è lamentato dell’orario, non ha potuto neanche correggere in corsa la squadra, a causa degli infortuni: magari Dybala avrebbe potuto aggiungere qualcosa di diverso anche se noi siamo tra quelli che vorremmo sempre giocare con Mandzukic (ormai fuori dal progetto) e mai contro o senza.

A rilanciare il Napoli ci ha pensato il solito Mertens, attaccante talmente forte da oscurare sempre i suoi rivali. E’ difficile rinunciare a lui anche per Ancelotti, che di punte ne ha tante: diventerà il tema della stagione azzurra, quello dei talenti da alternare in Italia e in Europa, perché Lozano, Callejon, Llorente, Insigne e Milik ci sembrano di altissimo livello. Il Napoli, dopo aver subìto 7 gol, ha concesso moltissimo alla Samp e finalmente Meret ha potuto dimostrare cosa vale: è facile colpevolizzare Koulibaly ma in realtà la difesa sta pagando l’atteggiamento offensivo della squadra, che quando la palla ce l’hanno gli altri non lavora per aiutare il reparto arretrato.


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