Gli occhi e le orecchie chiusi

Gli occhi e le orecchie chiusi© Roberto Bregani/Massimo Sestini
Alessandro Barbano
3 min

Parma non è Corleone, e neanche Platì. Ma a Parma nessuno ha visto e sentito niente. Allora i casi sono due: o i buu razzisti sono una paranoia di Dalbert, oppure più di qualcuno ha gli occhi e le orecchie chiusi. Se il giudice sportivo parla di “cori discriminatori percepiti” dall’esterno viola, vuol dire che né l’arbitro, né gli ispettori di Lega, né quelli della Procura federale hanno refertato alcunché. La virtù del dubbio impone di sospendere il giudizio sui fatti, lasciando indagare chi ha mezzi e competenze per accertare la verità. In primo luogo lo stesso procuratore federale Pecoraro, che a questo punto può fare due cose: aspettare che le notizie arrivino al suo indirizzo, o piuttosto andare a cercarle. E in secondo luogo la Digos di Parma, nelle cui mani pare già finito il cerino acceso.

Ma se i fatti ancora non parlano, il contesto dice molto. E racconta anzitutto di un club e un tecnico che cadono dal pero. L’Atalanta si ripara dietro un congiuntivo presente: rispetto a “ogni forma di discriminazione che possa essere avvenuta” - recita una nota troppo ufficiale – “la società si dissocia”. E aggiunge che sarà sempre “portavoce insieme con il suo pubblico e i suoi tifosi dei valori di solidarietà”, perché “la stupidità di pochi va combattuta insieme”. Se così è, perché non chiede espressamente ai tifosi volenterosi, garantendo l’anonimato, di produrre video e testimonianze su quanto è accaduto? Non sa forse, l’Atalanta, di avere tra il suo meraviglioso pubblico una cricca di facinorosi che è da anni protagonista di cori offensivi e di altre forme di violenza verbale e fisica? Si è mai preoccupata di individuare, attraverso l’uso delle telecamere, i responsabili di simili gesti, gli ha negato l’abbonamento o il biglietto d’ingresso, e li ha denunciati alla questura?

Quanto a Gasperini, è stato il primo a sentenziare che “i cori non li ha sentiti nessuno”. E soprattutto che, “se qualche imbecille ha detto qualcosa e ha insultato Dalbert, il caso “è diverso”. Perché, ha aggiunto, “bisogna condannare il razzismo, ma non possiamo andare a contare a uno a uno tutti quelli che insultano”. È vero il contrario. Per la vittima l’insulto non è meno offensivo se a pronunciarlo è uno o piuttosto sono tanti. E se davvero i cori fossero opera di pochi imbecilli, dovrebbe essere facile individuarli e contarli. Stiamo a parlarne perché questo non è fin qui accaduto.

Se Gasperini aspira a diventare un tecnico di profilo europeo, deve provare ad alzare lo sguardo oltre l’angustia provinciale in cui è inscritta ora la sua esperienza. Allora potrebbe continuare a dire che il razzismo, è vero, non è altro che imbecillità. Ma proprio perché di tutti i mali è il più banale, è per questo il più pericoloso


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